Prudente. Uomo che crede al 10% di ciò che sente, ad un quarto di ciò che legge e alla metà di ciò che vede.




lunedì 19 dicembre 2011

Omaggi natalizi: trattamento fiscale dei beni non oggetto dell'attività dell'impresa

Con l’approssimarsi delle festività natalizie pare opportuno riesaminare le problematiche fiscali connesse alla consuetudine di concedere degli omaggi ai clienti e ai dipendenti dell’azienda. Il trattamento fiscale degli omaggi varia a seconda che i beni rientrino o meno nell’oggetto dell’attività esercitata e che gli stessi siano destinati ad un cliente oppure a un dipendente dell’impresa.

Beni non oggetto dell’attività d’impresa.
Gli omaggi di beni la cui produzione o commercio non rientra nell’attività tipica dell’impresa costituiscono spese di rappresentanza a prescindere dal valore unitario o dal relativo costo.
Omaggi concessi ai clienti

Aspetti iva. Ai sensi dell’art. 19-bis1, c. 1, lett. h), DPR 633/1972, la detrazione dell’IVA corrisposta per l’acquisto di beni omaggio (costituenti spese di rappresentanza), è collegata al costo dei singoli beni.

Beni di costo unitario pari o inferiore a € 25,82 l' IVA è detraibile

Beni di costo unitario superiore a € 25,82 l'IVA è indetraibile

E' detraibile, in particolare, anche l’imposta corrisposta per l’acquisto di alimenti e bevande (ad esempio, omaggi di vino, spumante, panettoni) destinati alla successiva cessione gratuita, se di costo unitario non superiore a € 25,82. La successiva cessione gratuita è un’operazione esclusa da IVA ai sensi dell’art. 2, c. 2, n. 4), DPR 633/1972, e non richiede, pertanto, l’emissione di alcun documento fiscale (fattura, ricevuta, ecc.) anche se è prassi consolidata emettere un DDT (con causale “omaggio”) per certificare l’identità del destinatario e dimostrare l’inerenza della spesa rispetto all’attività aziendale.

Aspetti reddituali. I costi sostenuti per l’acquisto dei beni omaggio (rientranti tra le spese di rappresentanza ex art. 108, c. 2, TUIR), sono deducibili nell’anno di sostenimento, secondo le seguenti regole.

Beni di costo unitario pari o inferiore a € 50 sono interamente deducibili

Beni di costo unitario superiore a € 50 risultano limitati e proporzionati ai ricavi dell’impresa

Infatti, per i beni di costo unitario superiore a € 50 e per le prestazioni gratuite di qualsiasi importo (nonché per i titoli rappresentativi delle stesse, ad esempio, l’omaggio di una tessera per fruire dei servizi di un centro benessere) la deducibilità va rapportata ai ricavi dell’impresa, in particolare:
- per ricavi fino a € 10 milioni la deducibilità è pari all' 1,3%
- per la parte eccedente € 10milioni e fino a € 50 milioni, la deducibilità è pari allo 0,5%
- per la parte eccedente € 50 milioni la deducibilità è dello 0,1%

La quota di spese di rappresentanza eccedente i predetti limiti è interamente indeducibile.

In tema di spese di rappresentanza giova segnalare che il DM 19.11.2008 considera inerenti all’attività d’impresa (e, quindi, potenzialmente deducibili) le spese:
1) effettivamente sostenute e documentate;
2) effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni;
3) sostenute coerentemente con pratiche commerciali di settore o con criteri di ragionevolezza in funzione dell’obbiettivo di generare, anche potenzialmente, benefici economici per l’impresa.

N.B. DISPOSIZIONI COMUNI. Se l’omaggio è costituito da più beni in un’unica confezione di costo complessivo superiore a € 25,82 per l’IVA e a € 50 per le imposte sui redditi, è necessario tener conto del costo dell’intera confezione, considerando indetraibile l’IVA e destinando la quota di costo al monte delle spese di rappresentanza (da confrontare con il tetto massimo definito dalla percentuale dei ricavi dell’attività caratteristica), anche se il costo dei singoli beni costituenti la confezione è singolarmente inferiore a tale limite.
Occorre inoltre evidenziare che a causa del disallineamento tra le due soglie previste ai fini delle imposte dirette (€ 50) e dell’IVA (€ 25,82), l’indetraibilità dell’imposta fa sì che questa divenga un costo in sede di determinazione del reddito d’impresa. Di conseguenza, ai fini dell’integrale deduzione del costo di acquisto dell’omaggio, l’imponibile IVA in sede di acquisto non può essere superiore a:
IMPONIBILE ALIQUOTA IVA
€ 48,08 per l’iva al 4%
€ 45,45 per iva al 10%
€ 41,32 per iva al 21% (in vigore dal 17.9.2011)
€ 41,67 per iva al 20% (in vigore sino al 16.9.2011)

Omaggi ai dipendenti

Aspetti iva. Con RM n. 666305/1990, il MEF ne ha escluso il requisito dell’inerenza con l’attività dell’impresa, oltre a non annoverarli nella categoria delle spese di rappresentanza. Pertanto, l’IVA assolta sugli acquisti di tali beni risulta indetraibile indipendentemente dal costo di acquisto.
Dunque, per gli omaggi ai dipendenti l' IVA è sempre indetraibile indipendentemente dal costo di acquisto del bene

La successiva cessione gratuita è esclusa da IVA ai sensi dell’art. 2, c. 2, n. 4), DPR 633/1972, e non richiede l’emissione di alcun documento fiscale (fattura, ricevuta, ecc.).

Aspetti reddituali. Sotto l’aspetto delle imposte dirette il costo di acquisto dei beni in omaggio ai dipendenti è sempre deducibile. Infatti, come previsto dall’art. 95, c. 1, TUIR, le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore dei lavoratori.
L’unica (eventuale) limitazione è costituita dalla previsione recata dall’art. 100, c. 1, TUIR, che considera gli omaggi erogati con gli scopi di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, deducibili dal reddito d’impresa per un ammontare non superiore al 5‰ delle spese per prestazioni di lavoro dipendente.
Ad eccezione di tale previsione non si rinvengono quindi le problematiche di parziale deducibilità connesse con la classificazione delle spese tra quelle di rappresentanza.

Gli omaggi ai dipendenti sono interamente deducibili a prescindere dal costo di acquisto

Attenta considerazione meritano invece i riflessi fiscali che si verificano in capo al dipendente che riceve l’omaggio.

RIFLESSI FISCALI IN CAPO AL DIPENDENTE

Ai sensi dell’art. 51, c. 1, TUIR, concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente: “i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.” Pertanto, a seguito della soppressione della lettera b) dell’art. 51, c. 2, TUIR, gli omaggi natalizi e le altre erogazioni liberali, concesse in occasione di festività o ricorrenze ai dipendenti, sono imponibili in capo agli stessi.
Tuttavia, con CM n. 59/E/2008, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che le erogazioni liberali concesse ai dipendenti (anche in occasioni diverse dalle festività e dalle ricorrenze) possono ancora essere detassate qualora ricorrano le condizioni di applicabilità della franchigia da fringe benefit ex art. 51, c. 3, TUIR.
L’art. 51, c. 3, TUIR, esclude dalla formazione del reddito il valore normale dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore a € 258,23 nel periodo di imposta.
Pertanto, affinché gli omaggi non costituiscano materia imponibile in capo al dipendente, è indispensabile che nel corso del medesimo periodo d’imposta, allo stesso dipendente, non vengano erogati omaggi per un valore complessivo superiore alla soglia di € 258,23.
Attenzione, nel calcolo della soglia di € 258,23 vanno cumulate anche le altre voci riconducibili alla fattispecie in esame (ad esempio, fringe benefit autoveicoli e cellulari, polizze assicurative extraprofessionali, ecc.).
Si noti inoltre che se il limite di € 258,23 viene superato, l’intero valore concorre a formare la base imponibile.
È, quindi, necessario verificare, per ciascun dipendente o collaboratore, l’ammontare della franchigia ancora disponibile.
Si evidenzia infine che le erogazioni liberali in denaro concorrono sempre a formare reddito in capo al dipendente.

Aspetti Irap

I costi sostenuti per l’acquisto di beni da destinare ad omaggio dei dipendenti rientrano tra i “costi del personale”. Tale categoria di costi non è deducibile ai fini IRAP.
In buona sostanza, i costi sostenuti per l’acquisto di beni omaggio per i dipendenti, sono indeducibili ai fini IRAP indipendentemente dalla natura giuridica del datore di lavoro e dalla metodologia di calcolo adottata (metodo di bilancio o fiscale).

Omaggi ai dipendenti sempre indeducibili

Fanno eccezione gli omaggi di beni e servizi destinati a dipendenti e collaboratori per lo svolgimento dell’attività lavorativa, i cui relativi costi sono deducibili nella misura in cui costituiscono spese funzionali all’attività di impresa e non assumo natura retributiva per il dipendente o collaboratore.
Studio Fiscale Li Gioi

mercoledì 23 novembre 2011

Il nuovo Governo riduce l'acconto Irpef per il 2011


Un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri datato 21 novembre 2011 e, in corso di pubblicazione, dispone la riduzione di 17 punti percentuali dell`acconto d`imposta per l`Irpef da versare entro mercoledi` 30 novembre2011.
Ai contribuenti che alla data di pubblicazione del decreto avessero gia`provveduto al pagamento dell`acconto (determinato in misura pari al 99% dell`imposta dovuta per l`anno 2010) competera` un credito d`imposta utilizzabile in compensazione, pari al maggior importo versato rispetto allanuova misura (82% dell`imposta dovuta per l`anno 2010).
Trattandosi di versamento a titolo d`acconto, la riduzione si traduce in un differimento del pagamento del dovuto al momento del saldo che non comporta, quindi, risparmi sul pagamento delle tasse ma solo uno spostamento all'anno prossimo della differenza ma che, in un periodo come quello di novembre, già ricco di scadenze, non può che essere salutato come positivo.
Li Gioi Giovanni
Studio Fiscale Li Gioi

martedì 18 ottobre 2011

I sospetti del fisco si spostano sui conti dei “vicini”


Con sentenza di qualche giorno fa, la Corte di Cassazione è tornata, con una nuova pronuncia sul tema delle indagini bancarie e la forza presuntiva dei risultati ottenuti.
Al centro della vicenda una verifica condotta dalla Guardia di finanza a carico di una società a ristretta base familiare. I militari, rilevavano in primo luogo l’inesistenza di un conto corrente intestato alla società stessa, campanello d’allarme che, unitamente alla natura della compagine societaria, induceva i verificatori ad allargare l’ambito di investigazione ai rapporti bancari e conti dei soggetti “vicini” alla società:
soci e familiari degli stessi. Risultato: emergevano rilevanti movimentazioni bancarie che gli stessi contribuenti non riuscivano a giustificare.
L’Agenzia delle Entrate procedeva, quindi, a emettere avviso di accertamento sulla base delle risultanze evidenziate dalle movimentazioni dei conti correnti.
La società impugnava l’avviso di accertamento le cui ragioni venivano accolte dai giudici di merito che contestano all’Amministrazione di non aver fornito la prova di un nesso tra movimentazioni dei conti e i proventi della società.
Tocca alla Cassazione, gli equivoci.
La rilevanza dei dati bancari e il sistema delle presunzioni Atteso che le indagini finanziarie costituiscono uno strumento incisivo e dai risultati ragionevolmente affidabili, perché analitici e specificamente imputabili al contribuente, ma anche un mezzo potenzialmente lesivo per la particolare invasività nella sfera soggettiva, si pone il problema, dal lato dell’Amministrazione, di individuare quando procedere con tale procedura.
L’Agenzia delle Entrate ne suggerisce l’utilizzo in presenza di gravi indizi di evasione o di soggetti altamente sospetti, quali, ad esempio, gli “Et” (evasori totali), oppure nelle situazioni in cui, a fronte di un controllo svolto con altri metodi, permanga un significativo divario tra il volume d’affari e i redditi accertati, oppure ancora quando il risultato della verifica non sia in linea con le realtà osservabili (condizioni di esercizio dell’attività, potenziale capacità reddituale, consistenza del suo patrimonio) ovvero con altri elementi di valutazione.
La bontà dei risultati aumenta se l’indagine viene allargata ai soggetti “vicini” a quello sottoposto a indagine, quali familiari o intestatari di comodo di conti la cui disponibilità rientra nella sfera del primo.
Il caso in commento è esempio efficace di questa casistica.
Pertanto, utilizzare sapientemente questo strumento significa non solo incrociare i dati dei vari conti formalmente di proprietà dell’indagato, ma soprattutto ricostruire i movimenti di entrate e uscite da e verso quelli fittiziamente intestati a terzi.
L’iter logico della pronuncia
E’ la mancata dimostrazione delle circostanze giustificative che ha comportato nel caso in questione la soccombenza del contribuente. Schematizzando:
- la rilevazione per opera dell’Amministrazione dei movimenti in entrata e uscita su conti correnti formalmente intestati a terzi, congiunti del contribuente persona fisica o dell’amministratore di società, ma connessi o collegati al reddito del contribuente, fa scattare la presunzione di ricavi non annotati;
- tale presunzione comporta l’inversion e dell’onere della prova in capo al contribuente che, pertanto, ha l’onere di reagire alle contestazioni, dimostrando che le movimentazioni rilevate “sono già state tenute in conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta” o “non sono rilevanti per il reddito stesso”.
Nel caso di specie, vi è poi un elemento significativo che gioca contro l’inerzia del contribuente che non contesta la presunzione: la cospicua entità delle movimentazioni stesse. La Corte, infatti, sottolinea che, come aveva già avuto modo di rilevare in passate pronunce, quando le movimentazioni sono consistenti, se gli amministratori o i terzi non danno una valida giustificazione alle entrate e uscite rilevate non è possibile superare la presunzione di ricavi non annotati.

giovedì 15 settembre 2011

2.300.000 euro dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per le Associazioni di Volontariato


Ammontano a 2.300.000 euro le somme messe a disposizione dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali a valere sul Fondo Nazionale per le Politiche Sociali.
I contributi andranno a finanziare progetti, promossi da associazioni di volontariato, regolarmente iscritte nei relativi registri regionali anche in collaborazione con enti pubblici e territoriali, in diversi ambiti:
- prevenzione del disagio sociale;
- la tutela e la promozione dell’infanzia, dei giovani e dell’adolescenza;
- sostegno della maternità;
- promozione di forme di volontariato che prevedano il coinvolgimento dei giovani, sviluppando in tal modo esperienze educative e formative, di partecipazione sociale e di integrazione giovanile;
- promozione della cittadinanza attiva e partecipata tra gli stessi giovani;
- promozione e sviluppo della consapevolezza dell’identità nazionale ed europea, delle iniziative, dei dibattiti e delle riflessioni in materia di cittadinanza attiva europea e democrazia dei valori condivisi;
- storia e cultura comuni, grazie alla cooperazione all'interno delle organizzazioni di volontariato, di Terzo settore e delle altre organizzazioni della società civile;
- individuazione e promozione di azioni e modalità rivolte alla prevenzione del disagio minorile e giovanile;
- promozione di modelli riguardanti la partecipazione ed integrazione sociale in particolare delle persone con disabilità, delle persone senza dimora, degli anziani e dei migranti;
- individuazione e accompagnamento al fine di rafforzare e diffondere la visibilità e la conoscenza delle azioni e delle attività rivolte al contrasto delle povertà, con particolare riferimento alle seguenti aree tematiche: povertà alimentare, povertà derivante dalla mancanza di reddito e quindi da lavoro, ecc.
Scadenza il 4 ottobre 2011. Costo complessivo del progetto 40.000 euro di cui il 90% finanziato dal Ministero.

venerdì 9 settembre 2011

Cassa forense e mod. 5/2011

E' il 30 settembre 2011 il termine ultimo per l'invio del modello 5/2011, utilizzato dagli iscritti alla Cassa forense per la comunicazione obbligatoria dei dati reddituali IRPEF e IVA, necessari per determinare i contributi dovuti all'Ente.

Da qualche anno l'invio del modello 5/2011 è previsto solo in via telematica, mediante l'apposita procedura, disponibile sul sito www.cassaforense.it, nella sezione "Accessi Riservati - Posizione Personale".
Per accedere alle funzioni sarà necessario identificarsi mediante l’inserimento del codice meccanografico, già attribuito dalla Cassa, e del codice PIN.

Avvocati non iscritti alla Cassa. Nel caso di professionisti iscritti all'Albo, con decorrenza dal 2010 o anni precedenti, ma non ancora iscritti alla Cassa e, pertanto, sprovvisti del codice meccanografico, sarà possibile rivolgersi al proprio Ordine locale che, con il supporto della specifica procedura, potrà certificare l'iscrizione all'Albo e consentire all'interessato di entrare in possesso dei codici di accesso per l'invio telematico del modello 5/2011.

Modulistica personalizzata. Se, a seguito dell’invio telematico del mod. 5/2011, risultassero dovuti dei versamenti contributivi da eseguire in autoliquidazione, sul sito della Cassa saranno disponibili le funzioni per la stampa della modulistica personalizzata, comprensiva del codice di versamento individuale da utilizzare, in via esclusiva, per i pagamenti.

Termini. Si ricorda, infine, che il termine per l'invio telematico del modello 5/2011 è il 30 settembre 2011.
Mentre il termine per i pagamenti dei contributi in autoliquidazione (2ª rata saldo versamento) è il 31 dicembre 2011, termine prorogato al 2 gennaio 2012 in quanto il 31 dicembre cade nella giornata di sabato.
Eventuali omissioni o ritardi nei versamenti possono comportare l’applicazione di sanzioni e interessi a norma del vigente regolamento.

lunedì 8 agosto 2011

OBBLIGHI PUBBLICITARI A CARICO DELLE SOCIETA’


Si ricorda che,
l’art. 2250 del Codice Civile, denominato “Indicazione negli atti e nella corrispondenza”, prevede per le società soggette all’obbligo d’iscrizione nel Registro delle Imprese, di indicare negli atti e nella corrispondenza (ad esempio, fatture, contratti, ordini, lettere, sito web, ecc.) le seguenti informazioni, differenti per tipologia di società:

SOCIETÀ DI CAPITALI (S.p.a., S.r.l., S.a.p.a.):
- sede della società
- ufficio del Registro delle Imprese presso il quale la società risulta iscritta
- numero di iscrizione presso il Registro delle Imprese (ossia, il codice fiscale)
- stato di liquidazione a seguito dello scioglimento della società
- capitale sociale effettivamente versato e quale risulta esistente dall’ultimo bilancio
- sussistenza di un unico socio (c.d. società unipersonali).

SOCIETÀ DI PERSONE (S.a.s., S.n.c.,):
- sede della società
- ufficio del Registro delle Imprese presso il quale la società risulta iscritta
- numero di iscrizione presso il Registro delle Imprese (ossia, il codice fiscale)
- stato di liquidazione a seguito dello scioglimento della società

Per l’omissione delle informazioni sopra indicate, è applicabile la sanzione amministrativa
pecuniaria da € 206 a € 2.065 (ex art. 2630, C.C.).
Tale sanzione risulta applicabile in capo agli organi amministrativi (ad esempio, consiglieri CdA, amministratore unico, ecc.). L’art. 2630, c. 1, C.C. recita infatti: “Chiunque, essendovi tenuto per legge a causa delle funzioni rivestite in una società o in un consorzio, omette di eseguire, nei termini prescritti, denunce, comunicazioni o depositi presso il registro delle imprese, ovvero omette di fornire negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica le informazioni prescritte dall’articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 206 euro a 2.065 euro.”
Inoltre, gli amministratori che omettono l’indicazione di tale informazione sono responsabili degli eventuali danni che la mancata conoscenza di tali fatti abbia recato ai soci o ai terzi.
Chi riscontrasse tali carenze è pregato di adeguarsi.

mercoledì 20 luglio 2011

Obbligo di comunicazione PEC alle CCIAA e agli Ordini e Albi professionali



Con scadenza il 29 Novembre 2011,
tutte le Imprese costituite in forma societaria nonchè i Liberi Professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato dovranno obbligatariamente comunicare, rispettivamente, al Registro delle imprese della C.C.I.A.A., al proprio Albo o elenco di appartenenza il proprio indirizzo di casella PEC - Posta Elettronica Certificata - (Legge n.2/2009).



A stabilirlo è l'articolo 16 della Legge n.2/2009, di conversione del Decreto Legge n.185/2008, recante norme per la "Riduzione dei costi amministrativi a carico delle imprese".



Studio Fiscale Li Gioi

giovedì 16 giugno 2011

Curiosità. La partita IVA nell’attività di B&B


Con la presente rispondiamo ad un quesito pervenutoci attraverso il form del nostro sito.. L’interessato, chiedeva se, per l’attività di B&B si renda necessario l’apertura della partita IVA.
In via preliminare è opportuno evidenziare che l’attività di bed & breakfast è un’attività turistica a carattere familiare esercitata da privati, e consiste nell’offrire ospitalità a pagamento nella propria abitazione.
L’attività di bed & breakfast è disciplinata dalle singole leggi regionali concernenti turismo e strutture ricettive. Per lo svolgimento di tale attività, anche con carattere saltuario, è richiesto un minimo di posti letto, che varia da Regione a Regione.
La saltuarietà dell’attività significa che la stessa non viene esercitata sistematicamente per tutto l’anno, ma solo in alcune occasioni ed in periodi ricorrenti stagionali.
Caratteristica del servizio è che esso viene reso avvalendosi della normale organizzazione familiare e fornendo, a chi è alloggiato, cibi e bevande confezionati per la prima colazione, senza alcun tipo di manipolazione.
L’insieme delle caratteristiche delineate evidenzia la carenza di professionalità nell’esercizio della fornitura di «alloggio e prima colazione».
Di conseguenza, sotto il profilo fiscale, tale attività, esercitata in modo saltuario e con la sola organizzazione familiare, non costituisce attività d’impresa.
Per quanto concerne l’Iva, è da rilevare che il presupposto oggettivo di imponibilità sussiste qualora le prestazioni di servizi siano non occasionali e, cioè, rientranti in un’attività esercitata per professione abituale (n.b. non necessita che sia svolto a livello esclusivo).
Pertanto, se l’attività di bed & breakfast è effettivamente resa con carattere di occasionalità, è esclusa dal campo di applicazione dell’Iva e, conseguentemente, il gestore di tale tipo di attività non è tenuto a dotarsi di partita Iva, né dovrà osservare gli adempimenti correlati a tale settore impositivo. Al cliente potrà essere rilasciata una ricevuta (non fiscale), in duplice copia, numerata progressivamente, con l’indicazione dell’importo e della data del pagamento, nonché del numero di giorni di permanenza. Nel caso in
cui l’importo superi € 77,47, la ricevuta dovrà recare una marca da bollo di € 1,81. Una copia delle ricevute rilasciate all’ospite sarà trattenuta dal titolare e determinerà l’importo da dichiarare nel Modello Unico.
Si consiglia la tenuta di un registro giornaliero dal quale si evinca che, appunto, l’attività non sia svoltà in maniera professionale. In quanto, qualora l’attività in argomento venisse svolta in modo sistematico e con
carattere di stabilità, evidenziando una certa organizzazione di mezzi, la medesima attività si qualificherebbe in termini abituali e, quindi, professionali. In tal caso, l’attività rientrerebbe nel campo di applicazione dell’Iva, ai sensi dell’art. 4, co. 1, D.P.R. 633/1972 con i conseguenti obblighi.

Studio Fiscale Li Gioi
via delle Palme 36, Ragusa
via Mascagni, Avola
viale Principe di Piemonte, Noto
328/6973254

mercoledì 15 giugno 2011

Le novità del Decreto Sviluppo: (II) Accessi più veloci


La disposizione che contempla le ultime novità in materia di accessi è contenuta nell’art. 7, co.1, lett. a) del D.L. 13/05/2011 n. 70.
Le norme in questione prevedono altre 18 misure volte alla semplificazione per “ridurre il peso della burocrazia che grava sulle imprese e più in generale sui contribuenti”, tra queste il citato comma 1 prevede che “esclusi i casi straordinari di controlli per salute, giustizia ed emergenza, il controllo amministrativo in forma di accesso da parte di qualsiasi autorità competente deve essere unificato, può essere operato al massimo con cadenza semestrale, non può durare più di 15 giorni”.
Un ulteriore elemento di assoluta novità è rappresentato dalle precisazioni successive in base alle quali la violazione alle nuove disposizioni legislative costituirebbe illecito disciplinare.
E’ evidente che la norma non si riferisce né agli accessi in senso tecnico, né esclusivamente alle verifiche fiscali, ma riguarda la generalità dei controlli di tipo amministrativo disposti nei confronti delle micro, piccole e medie imprese, nell’ottica di ridurre tutte le condizioni di disagio derivanti dall’esecuzione di un’attività che interviene in modo invasivo ed incisivo – talvolta ripetuto da parte dei vai enti competenti – sul regolare svolgimento dell’attività dell’impresa verificata.
Di qui l’introduzione al co. 2 di alcune disposizioni finalizzate alla semplificazione dei procedimenti che rimandano ad una decreto non regolamentare da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che consenta il coordinamento delle verifiche effettuate dalle Agenzie fiscali, dalla Guardia di Finanza, dai Monopoli di Stato e dall’Inps così da poterne coordinare i controlli, evitando la duplicazione delle ispezioni ed eventuali sprechi amministrativi.
Lo scambio telematico delle informazioni sui soggetti da sottoporre ad accessi, ispezioni e verifiche, oltre ad un regolare scambio di informazioni sull’inizio di tali attività nonché sui dati utili, acquisiti nel corso delle stesse, dovrebbero garantire la corretta applicazione della norma.
Il principio concreto a cui dovrà ispirarsi l’attività di controllo fiscale degli enti verificatori sarà, dunque, quello della contestualità e della cadenza semestrale dei controlli, intesa come divieto di ripetere lo stesso entro sei mesi dal precedente.
Malgrado il generico riferimento ad un criterio di contestualità è più facile che nella pratica esso andrà riferito alle varie tipologie di verifiche programmate da un’unica Amministrazione.
Analoghe disposizioni valgono per il settore sub-statale con riferimento alle verifiche effettuate da parte delle amministrazioni locali, incluse quelle delle Forze di Polizia. In tal caso il coordinamento delle attività sarà affidato al SUAP o alle CCIAA.
Tutte le verifiche effettuate in campo di igiene pubblica, sicurezza sul luogo di lavoro, salute e repressione dei reati esulano dall’ambito di applicazione delle nuove regole.
AMBITO DI APPLICAZIONE
La norma, in sostanza, incide sullo Statuto del Contribuente che viene così modificato:
“Il periodo di permanenza presso la sede del contribuente non può essere superiore a quindici giorni in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi; anche in tali casi, ai fini dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente”;
Permane la possibilità di prorogare la durata della verifica ed anche in talune ipotesi i tempi sono ridotti alla metà rispetto alla precedente versione della norma e calcolati secondo le medesime modalità specificate con riferimento alla normale durata della verifica.

martedì 14 giugno 2011

Le novità del Decreto Sviluppo: (I) La scheda carburanti


ll Decreto Sviluppo (D.L. 13 maggio 2011, n. 70), entrato in vigore il 14 maggio 2011, si pone l’ambizioso obiettivo di promuovere lo sviluppo economico e la competitività, anche mediante l’adozione di misure volte alla semplificazione dei procedimenti amministrativi concernenti, fra l’altro, la disciplina fiscale.
Così, l’art. 7 del citato intervento recita: «per ridurre il peso della burocrazia che grava sulle imprese e più in generale sui contribuenti, alla disciplina vigente sono apportate modificazioni così articolate:
Alla lettera l) abolizione della compilazione della scheda carburante in caso di pagamento con carte di credito, di debito o prepagate».
Stato dell’arte. La scheda carburanti. L’art. 1 del «Regolamento recante norme per la semplificazione delle annotazioni da apporre sulla documentazione relativa agli acquisti di carburante per autotrazione (D.P.R. 10 novembre 1997, n. 444)», prevede che gli acquisti di carburante per autotrazione, effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti all’imposta sul valore aggiunto, siano annotati nei termini e con le modalità stabiliti nello stesso decreto in una apposita scheda cd. «carburante» che sostituisce la fattura che gli imprenditori e i professionisti devono richiedere per gli acquisti effettuati da commercianti al minuto(1*).
In tutti i casi ove sia escluso l’obbligo di compilazione della scheda carburante, l’acquirente ha il dovere di richiedere la fattura e in caso di mancanza di personale che possa rilasciare il documento, possono essere utilizzati i buoni consegna emessi dalle attrezzature automatiche da inviare ai gestori per l’adempimento in questione.
Ogni scheda carburanti deve essere intestata ad un solo veicolo a motore utilizzato nell’esercizio
dell’attività d’impresa, dell’arte e della professione e deve obbligatoriamente contenere:
1) gli estremi d’individuazione del veicolo;
2) ditta, denominazione o ragione sociale, il cognome e il nome, il domicilio fiscale e il numero di partita Iva del soggetto d’imposta che acquista il carburante.
Il distributore di carburante, per ogni rifornimento, deve annotare nella scheda, apponendo la firma per convalida i seguenti elementi:
- la data e l’ammontare del corrispettivo al lordo dell’imposta sul valore aggiunto;
- la denominazione o la ragione sociale dell’esercente l’impianto di distribuzione, ovvero il cognome e il nome se persona fisica, e l’ubicazione dell’impianto stesso (il tutto anche con apposizione del solo timbro).
Registrazione e conservazione della scheda. Il soggetto passivo Iva deve annotare distintamente, sul registro degli acquisti (ex art. 25, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) l’ammontare complessivo delle operazioni annotate su ciascuna scheda mensile o trimestrale per poi poter procedere alla liquidazione periodica Iva.
Necessario, alla fine del mese o del trimestre prima della registrazione, indicare sulla scheda il numero dei chilometri rilevato dal tachimetro del proprio mezzo per essere quindi tenuta e conservata nei modi e termini indicati nell’art. 39, D.P.R. 633/1972.
Ancora l’art. 6, co. 7, D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695 dispone che non sussiste ai fini dell’Iva, l’obbligo di annotare le fatture relative ad acquisti per i quali ricorrono le condizioni di indetraibilità dell’imposta stabilita dal co. 2 dell’art. 19, D.P.R. 633/1972 (ora dall’art. 19-bis1 dello stesso decreto) valendo tale esonero anche per le schede carburanti, in quanto documento sostitutivo della fattura qualora l’imposta relativa agli acquisti da esse documentati non sia detraibile.
NOVITA’
ABOLIZIONE della SCHEDA CARBURANTE.
Da quanto sembra emergere dagli ultimi interventi legislativi sembra potersi affermare l’abolizione dell’obbligo di compilazione della scheda carburanti in presenza di pagamenti tracciabili. Ma non bisogna giungere a conclusioni affrettate.
Non si capisce, infatti, se l’abolizione prevista dal cd. Decreto Sviluppo non ottenga, piuttosto, l’effetto opposto rispetto all’obiettivo enunciato dal Legislatore, di complicare la già dura vita del contribuente, soprattutto quello in contabilità semplificata. Difatti, la disposizione contenuta nell’art. 7, co.1, lett. l) del decreto in esame, dispone la semplice abolizione della compilazione, con la conseguenza che non chiarendo se il pagamento, effettuato con carta di credito (di debito o prepagate con esclusione del bancomat), provochi anche la possibilità di dedurre il costo dei carburanti.
A tale proposito una recente sentenza della Corte di Cassazione (18 febbraio 2011, n. 3947) afferma che «..risultano deducibili dall’azienda i costi registrati in schede carburanti nelle quali siano compilati tutti i dati identificativi dell’automezzo, il numero dei chilometri percorsi a fine mese e quelli finali rilevabili dal contachilometri ..».
Si deve qui evidenziare come la compilazione della scheda carburanti per ogni veicolo dell’azienda non costituisca, già, un obbligo quanto una facoltà al fine di poter dedurre il relativo costo e detrarne l’Iva.
Quello che ad oggi Il corollario più importante della semplificazione di cui all’art. 7, co.1, lett. l del Decreto citato è l’eliminazione dell’obbligo dell’annotazione dei chilometri percorsi alla fine di ogni mese o trimestre (con esclusione degli esercenti arti e professioni) ex art. 4, D.P.R. n. 444/1997.
Da ultimo si ricorda che il Legislatore non ha nel Decreto individuato tra le forme di pagamento ammesse alla semplificazione l’assegno bancario e circolare, il bancomat, anche se tali strumenti sono ritenuti validi ai fini del pagamento dei debiti tributari ai sensi dell’art. 23, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241.
Come troppo spesso avviene nel nostro Paese il Legislatore prima attua le disposizioni e solo dopo si occupa di definirne regole e procedure.
A nostro parere, per ora, in vista di ulteriori chiarimenti da parte del direttore dell’Agenzia delle Entrate, conviene continuare a compilare la carta carburante come fatto fino ad oggi allegandovi eventuali scontrini dei pagamenti effettuati tramite circuiti bancomat e/o carta di credito.

1* Si deve considerare che i gestori degli impianti stradali di distribuzione di carburanti per autotrazione non possono emettere fattura per la
cessione di tali prodotti (particolari disposizioni riguardano in tal senso gli autotrasportatori). Sono esclusi dalla disciplina della scheda carburanti:
a) gli acquisti non effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione;
b) gli acquisti effettuati presso gli impianti di distribuzione non destinati all’autotrazione (ad esempio, motori fissi) o dei quali tale destinazione non
può essere constatata all’atto dell’acquisto;
c) tutte le ipotesi di impossibilità di certificazione degli acquisti di carburante per mancanza del personale addetto alla distribuzione (ad esempio,
rifornimenti effettuati durante l’orario di chiusura attraverso le attrezzature denominate «self service pre-pagamento»);
d) gli acquisti di carburanti effettuati presso gli esercenti impianti stradali di distribuzione, dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali, dagli istituti
universitari e dagli enti ospedalieri, di assistenza e beneficenza, dagli autotrasportatori di cose per conto terzi.
Studio Fiscale Li Gioi
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lunedì 13 giugno 2011

La cassa negativa presume un’anomalia contabile

Con una sentenza del 31 maggio di quest’anno, la Corte di Cassazione, ha stabilito che “In tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini Irpeg ed Iva, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumerne l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo”.
Il caso. L’Agenzia delle Entrate rettificava il reddito dichiarato da una società, ai fini Iva e Irpef, sulla scorta di una verifica fiscale, con la quale aveva recuperato a tassazione ricavi in nero per oltre 200 mila euro.
Contro l’atto impositivo la società, una srl che svolgeva attività commerciale, aveva presentato ricorso alla competente Commissione Tributaria provinciale, i cui giudici ne avevano accolto i motivi.
Anche la Commissione Regionale aveva avallato la decisione dei giudici di prima istanza, motivando che “il recupero operato del saldo negativo di cassa come importi non contabilizzati fosse privo di ogni logica”, ciò anche perché (in termini spiccioli) l’ufficio non aveva avuto cura di dimostrare il rapporto esistente “tra la movimentazione del conto cassa e gli ulteriori ricavi accertati”. L’Ufficio, a sostegno della propria tesi, aveva ritenuto che tutte le movimentazioni finanziarie riportate nel conto cassa sono il riflesso della gestione economica aziendale, pertanto, se il mastro di cassa presenta un saldo negativo, vuol dire che dalla cassa è uscito più denaro di quanto ne sia entrato, il che è possibile solo se non sono stati registrati tutti gli incassi e tutti i ricavi. Il chè costituisce la prova che in realtà vi sono ricavi non dichiarati pari allo scoperto di cassa.
Cassa in rosso. Secondo la dottrina e la giurisprudenza la cassa negativa (o cassa in rosso) è una situazione contabile impossibile da verificarsi nella realtà.
Infatti, la chiusura “in rosso” di un conto di cassa significa, senza dubbi, che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati. In tali ipotesi è facile evincere l’esistenza di altri ricavi, non registrati, in misura almeno pari al disavanzo. In altri termini, il saldo negativo di cassa sta a significare che dal conto cassa sono «usciti» più denari di quanti ne sono «entrati». Il saldo del conto cassa può essere solamente positivo ovvero pari a zero, mentre non può mai essere negativo. Di conseguenza, la Suprema Corte, anche in questa occasione, ha ribadito che “si deve ritenere che una chiusura di cassa con segno negativo, oltre a rappresentare un’anomalia contabile, denota sostanzialmente l’omessa contabilizzazione di un’attività (almeno) equivalente al disavanzo”.
Secondo questa ricostruzione è facile pervenire alle logiche conseguenze ovvero che il saldo del conto cassa è negativo nei seguenti casi:
• una parte dei denari entrati in cassa non è stata registrata in contabilità (ad esempio, entrate per ricavi in nero; mancata emissione di scontrino o di fattura, ecc.);
• errori di registrazione contabile nel conto cassa.
Onere probatorio. Sotto il profilo della ripartizione dell’onere probatorio tra contribuente e Fisco, non può essere trascurata la pronuncia della Suprema corte in cui si è affermato che “posto che il conto “cassa" rientra sicuramente tra le scritture contabili, ancorché non obbligatorie, astrattamente idonee ad essere utilizzate dall’ufficio ai fini dell’accertamento quale "documento relativo all’impresa". I giudici d’appello non hanno spiegato, in cosa consisterebbe "l’erronea imputazione", operata dal contribuente nel predetto conto e ritenuta idonea a superare la contraria valenza presuntiva (di corrispettivi non contabilizzati) attribuita all’ufficio ai saldi negativi del conto medesimo”.
Il fisco, dunque, può considerare ricavi in nero la differenza fra il saldo negativo di cassa e gli introiti registrati.

martedì 7 giugno 2011

(II) Acconto ICI. Versamenti entro il 16 Giugno

Calcolo dell’imposta
Per il calcolo dell’ICI occorre innanzitutto determinare il valore del fabbricato, dell’area edificabile o del terreno agricolo, ovvero la base imponibile.
L’imposta dovuta per l’anno 2011 è determinata applicando alla base imponibile l’aliquota stabilita dal Comune in cui è ubicato l’immobile.

Fabbricati. La base imponibile è costituita dal valore della rendita catastale al 1° gennaio dell’anno in corso, aumentata del coefficiente di rivalutazione del 5% e di un fattore moltiplicativo diverso a seconda la tipologia di immobile e pari a:
- 100 per unità immobiliare classificate nel Gruppo Catastale A (abitazioni) e Gruppo C (magazzini, depositi, laboratori, autorimesse, ecc.);
- 50 per le unità immobiliari classificate nel gruppo D (opifici, alberghi, teatri, banche, ecc.) e nella categoria A/10 (uffici e studi privati). Per gli immobili appartenenti al Gruppo D, privi di rendita catastale al 1° gennaio 2011 e posseduti da imprese, si assume come base imponibile il valore calcolato in base al costo di acquisizione e degli oneri incrementativi contabilizzati, moltiplicati per i coefficienti di aggiornamento stabiliti con Decreto Ministeriale.
- 34 per le unità immobiliari classificate nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe);
- 140 gli immobili classificati nella categoria B.

Aree Fabbricabili. La base imponibile è costituita dal valore venale in comune commercio, calcolato sulla base del territorio di ubicazione, indice di edificabilità, destinazione d’uso, oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, prezzi medi rilevati sul mercato di vendita di immobili con caratteristiche simili. Il comune, con proprio regolamento, può emanare il valore di aree fabbricabili, con l’effetto di limitare il suo potere di accertamento e ritenere congruo il valore dichiarato in misura non inferiore a quella fissata dal regolamento.

Terreni agricoli. La base imponibile è costituita dal reddito dominicale iscritto in catasto al 1° gennaio 2011, aumentato del 25% e moltiplicato per il fattore 75.
Tuttavia, per i terreni agricoli condotti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli, iscritti negli elenchi commerciali e con obbligo di assicurazione, la legge prevede delle soglie di detrazione (che diminuiscono al crescere del valore del terreno), tali per cui:
- risultano esenti se il valore non raggiunge € 25.822,84;
- sono ridotti del 70% per un valore compreso tra € 25.822,85 e € 61.974,83;
- sono ridotti del 50% per un valore compreso tra € 61.974,84 e € 103.291,38;
- sono ridotti del 25% per un valore compreso tra € 103.291,39 e € 129.114,22;
- nessuna riduzione se superiore.
Sono esclusi dall’applicazione dell’imposta “gli orticelli”, terreni diversi dalle aree edificabili sui quali le attività agricole sono esercitate in maniera occasionale, non professionale e senza organizzazione.

ABITAZIONE PRINCIPALE
Con L. 126/2008 è stata prevista l’esclusione dell’Ici dall’abitazione principale se di categorie catastali diverse dalla A/1, A/8, A/9.

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(I) Acconto ICI. Versamenti entro il 16 Giugno



E' il 16 giugno il termine ultimo per versare l'acconto ICI per l'anno 2011.
L'imposta comunale sugli imbobili deve essere pagata, infatti, lo stesso anno in cui si realizza il presupposto impositivo ovvero il possesso - a titolo di proprietà, usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie - di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli, situati nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, compresi gli immobili strumentali all'esercizio dell'attività professionale, artigianale o imprenditoriale, nonché quelli alla cui produzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa.
Tuttavia, mentre l'Ici è dovuta in base all'evolversi della situazione patrimoniale del contribuente, la Dichiarazione ICI va presentata quest'anno, nel caso in cui si siano verificate variazioni nella situazione patrimoniale degli immobili nel 2010 rispetto alla situazione dell'anno precedente.
Il versamento può avvenire in due rate (acconto 16/6 - saldo 16/12) o in unica soluzione il 16/6 salvo diversa disposizione comunale:
- nel primo caso, l'acconto va calcolato in base all'aliquota e le detrazioni previste per l'anno di imposta precedente (2010), il saldo calcolato sulla base delle aliquote e detrazioni deliberate dal comune per l'intera imposta dell'anno in corso, al netto delle somme versate a titolo di acconto;
- nel caso di unico versamento, le aliquote e le detrazioni da tenere in considerazione sono quelle dell'anno in corso.
Se l'immobile viene destinato ad altro uso nel corso del 2011. La prima rata deve essere commisurata ai dodici mesi dell'anno precedente e si dovrà tener conto nel conguaglio delle modifiche avvenute.

Se l'immobile è acquistato nel corso del 2010 (es. aprile). L'acconto per il 2011 deve essere determinata sulla base delle aliquote e le detrazioni vigenti in tutto il 2010, a prescindere dala circostanza che il periodo di possesso sia inferiore all'anno. In sede di conguaglio andranno utilizzate le aliquote e le detrazioni vigenti nel 2011.

Se l'immobile è stato acquistato nel primo semestre del 2011. L'imposta dovuta a titolo di acconto deve essere commisutata ai dodicesimi sulla base delle aliquote vigenti nell'anno precedente e, in sede di conguaglio, utilizzare le aliquote stabilite dal comune per l'anno in corso.

Se l'immobile è stato venduto nel corso del primo semestre 2011. La prima rata può essere commisurata a tanti dodicesimi dell'imposta dovuta per l'intero anno 2010 sulla base delle aliquote allora in vigore, quanti sono i mesi di possesso nel 2011. L'eventuale differenza dovuta sulla base di diverse aliquote deliberate dal comune nel corso dell'anno, andranno versate in sede di conguaglio.

Nei casi più comuni, in sede di applicazione dell'imposta si possono verificare le seguenti situazioni:

- immobile posseduto da più proprietari, l'imposta deve essere ripartita proporzionalmente tra di loro e versata separatamente o cumulativamente;

- immobile costituito da un diritto reale di godimento, obbligato al versamento è il titolare di questo diritto;

- in presenza del diritto di abitazione, obbligato è il titolare di questo diritto;

- in caso di assegnazione di casa al coniuge in caso di divorzio o separazione, secondo orientamento consolidato della giurisprudenza di Cassazione, obbligato rimane il proprietario dell'immobile e non l'assegnatario.



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giovedì 7 aprile 2011

INCENTIVI AUTOMATICI ALLE IMPRESE: click day il 16/05/2011


Resuscitata la Legge 266 del 7 Agosto 1997 per la concessione di incentivi in forma automatica alle piccole e medie imprese nel territorio Nazionale, ne potranno beneficiare dal 16/05/2011 le Micro, Piccole e Medie Imprese residenti in territorio Siciliano. La norma, prevista per sviluppare le attività produttive in periodo di forte crisi economica, consiste in un credito di imposta pari al 40% o 50% sugli importi degli investimenti ritenuti ammissibili, secondo le caratteristiche, rispettivamente, di Media o PMI del proponente e sarà utilizzabile sin dal 30° giorno successivo dal ricevimento della comunicazione di ammissione al beneficio. Una misura che può ritenersi utile per due ordini di motivi: - il credito diviene velocemente disponibile e utilizzabile, senza dover attendere i tempi previsti da altre agevolazioni, quali i contributi, che divengono disponibili solo dopo lunghissimi periodi di attesa in base alle disponibilità di cassa dell’ente erogante; - favorisce gli investimenti delle imprese in capitale produttivo, che si traducono necessariamente in effetti positivi sull’indotto e sul mercato del lavoro. Ampia la platea dei possibili beneficiari, in quanto la legge è rivolta specificamente ai settori delle attività estrattive, manifatturiere, produttive di energia elettrica ma si estende, in base al dettato normativo, anche alle “attività dirette ad influire positivamente sullo sviluppo dei predetti settori, tra cui vengono elencate:

- Mense e catering;

- Produzioni di software, consulenze informatiche e attività connesse;

- attività degli studi di architettura e di ingegneria; collaudi analisi tecniche;

- pubblicità e ricerche di mercato; - laboratori fotografici per sviluppo e stampe;

- attività di ricerca, selezione, fornitura del personale;

- servizi di vigilanza privata; - organizzazione di conventi e fiere;

- lavanderie,

- ecc.


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martedì 5 aprile 2011

Nuovi Marchi per i franchising finanziati da InvItalia

Aumentano le possibilità per chi, volendo uscire dalla crisi occupazionale che ci attanaglia, ha la voglia e un pizzico di intraprendenza per investire in una propria attività, ricevendo dallo Stato tramite InvItalia (ex Sviluppo Italia), i fondi necessari per poterlo fare. Si arricchisce, infatti, il numero di franchisor convenzionati con l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa (che si vanno ad aggiungere ai 22 già accreditati) che, nel periodo 2003- 2010, ha effettuato investimenti produttivi per 56 milioni di euro nel settore Franchising, periodo in cui sono state create 688 nuove imprese e 1.376 nuovi posti di lavoro. Segno inequivocabile della predisposizione dell'Ente ad investire in formule già consolidate e rodate e, con una maggiore capacità di sopravvivere al mercato moderno.

La misura a cui si fa riferimento è l'Agevolazione Franchising, contenuta nel Titolo II del D.Lgs. 185/2000 che regolamenta l’Autoimpiego. Si tratta di incentivi (contributi a fondo perduto e mutui a tasso agevolato) rivolti a persone inoccupate o in cerca di prima occupazione che intendono avviare un’attività imprenditoriale con la garanzia di un marchio di successo, accreditato dalla stessa Invitalia ( oggetto di approfondimento nell'articolo di questo blog di cui al presente link http://homodiseconomicus.blogspot.com/2010/04/dare-un-calcio-alla-crisi-con.html) In questi giorni, tre nuovi Franchisor si sono aggiunti all’elenco dei 22 marchi già convenzionati con Invitalia: si tratta di Camomilla italia (abbigliamento e accessori donna), Rossosapore (la versione ‘servizio al banco’ del brand Rossopomodoro) e Essedi Shop (negozi di elettronica e informatica del gruppo CDC del quale fa parte anche il marchio Computer Discount), realtà di notevole successo presenti in tutte le maggiori città Italiane.

Per chi ha voglia di "fare da se'", non ci sono scuse, basta volerlo.


Per informazioni e supporto nella redazione della pratica non esitate a contattarci


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giovedì 24 marzo 2011

Detrazione per l’affitto dell’abitazione principale




Salve, in questa “pillola” vedremo come trattare fiscalmente le spese sostenute per l’affitto dell’abitazione principale e, se e quanto, è possibile “risparmiare” sulle imposte .
La legge prevede, infatti, tre tipi di detrazioni per il canone di affitto:
1) detrazione generica per i contratti stipulati ai sensi della Legge 431/1998 a canone libero;
2) detrazione per i canoni stipulati a canone convenzionale, quei contratti, cioè, il cui canone è stabilito in seguito ad accordi sottoscritti, in sede locale, dalle associazioni dei proprietari e quelle dei conduttori
3) detrazione per i giovani affittuari tra i 20 e i 30 anni per i nuovi contratti di locazione.

Vediamo nel particolare cosa prevede la legge.
Nel primo caso, contratto stipulato o rinnovato a canone libero, nel rispetto della normativa prevista dalla Legge 431/1998 e relativo ad immobile destinato ad abitazione principale, viene riconosciuta una detrazione pari a € 300,00 per redditi fino ad euro 15.493,41 oppure una detrazione di € 150,00 per redditi fino ad euro 30.987,41.
Il secondo caso riguarda, invece, quei contratti stipulati in base ad accordi locali delle associazioni di categoria. Hanno durata triennale e sono prorogati di diritto per ulteriori due anni quando le parti non concordino sul rinnovo. Per i contratti di locazione a canone convenzionale, stipulati o rinnovati ai sensi della normativa prevista dalla Legge 431/1998, relativi ad immobili adibiti ad abitazione principale, è prevista una detrazione di euro 495,80 per redditi fino a € 15.493,41 oppure di euro 247,90 per redditi fino a € 30.987,41.
Attenzione, in nessun caso la detrazione spetta per i contratti di locazione stipulati tra enti pubblici e soggetti privati.
Infine, per i contratti di locazione di immobili relativi ad abitazione principale da parte di giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni, con residenza diversa da quella della famiglia di origine, è prevista una detrazione speciale di euro 991,60 per redditi fino a 15.493,41 ma la detrazione spetta solo per i contratti stipulati a partire dall’anno 2007.

N.B. La documentazione necessaria prevede il contratto di locazione regolarmente registrato e le quietanze di versamento del canone di affitto. Ricordatevi, dunque, di consegnare al Vs consulente, al momento della dichiarazione dei redditi, tutta la documentazione richiesta.


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lunedì 21 marzo 2011

La ripartizione delle spese dello studio tra professionisti non associati


Capita, tra professionisti con autonoma partita IVA e senza vincoli associativi, di condividere lo stesso studio usufruendo in comune di beni e servizi (energia elettrica, gas, acqua, locazione, assicurazioni, ecc.). L’addebito di tali spese viene generalmente imputato ad uno solo di essi, intestatario del contratto di locazione e delle utenze. Lo stesso provvede periodicamente a ripartire le spese pro quota agli altri professionisti che utilizzano lo studio. In tale ipotesi occorre individuare il corretto trattamento reddituale applicabile alla fattispecie, considerato che le somme incassate a tale titolo non costituiscono compensi riconducibili all’attività caratteristica esercitata dal professionista e, pertanto, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo. La questione è stata a più riprese affrontata dall’Agenzia delle Entrate (CCMM nn. 58/E/2001 e 38/E/2010) e dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro (Parere n. 23/2010). Nel caso di uno studio associato la problematica non si pone in quanto l’associazione tra professionisti costituisce un soggetto unico anche ai fini fiscali.



IL TRATTAMENTO FISCALE Occorre innanzitutto distinguere tra il soggetto titolare dei contratti (che riceve e contabilizza le fatture relative alle spese comuni) e gli altri professionisti che condividono l’uso dello studio (che ricevono le fatture emesse dal primo professionista per le quote di loro competenza). Secondo l’Agenzia delle Entrate: “Ai fini reddituali, le somme rimborsate dagli altri utilizzatori comportano una riclassificazione in diminuzione del costo sostenuto dal professionista intestatario dell’utenza.” In altri termini, detti rimborsi non costituiscono per il percipiente componenti positivi di reddito ma minori costi di gestione dati dalla differenza tra i costi sostenuti ed i rimborsi percepiti. Tale impostazione comporta, tra l’altro, che le somme rimborsate non costituiscano un compenso” per il professionista, con la conseguenza che le stesse non sono da assoggettare a ritenuta di acconto. Inoltre, le somme incassate a titolo di rimborso risultano ininfluenti anche ai fini degli studi di settore. I costi sostenuti costituiscono componenti negative (deducibili all’atto del pagamento) solo per la quota che rimane a carico del professionista (ossia, per la quota di sua competenza). Relativamente ai contributi previdenziali da addebitare in fattura, gli stessi non devono essere sicuramente indicati per i soggetti iscritti alla Gestione Separata INPS (la rivalsa, infatti, è facoltativa). Per quanto riguarda le casse previdenziali professionali, invece, si registra una regolamentazione piuttosto disomogenea. Ad esempio, la Cassa Nazionale Previdenza dei commercialisti, ha precisato che: “Il contributo integrativo deve essere applicato anche ai corrispettivi afferenti le parcelle emesse a puro titolo di addebito di spese.” Si consiglia pertanto di consultare la cassa di appartenenza per individuare il corretto trattamento applicabile alla fattispecie. ASPETTI IVA Con CM n. 58/E/2001, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la fattura per il rimborso delle spese sostenute dal professionista intestatario dei contratti afferenti le spese comuni deve essere assoggettata a IVA con aliquota ordinaria in quanto riferibile a prestazioni di servizi rese dal professionista che effettua il riaddebito. Secondo il Parere n. 23/2010 della FSCL, le quote di spese riaddebitate vanno assoggettate a imposta del 20% anche nell’ipotesi di spese oggettivamente non soggette a IVA (come, ad esempio, nel caso di spese condominali). IN SINTESI In buona sostanza, il professionista intestatario del contratto di locazione o delle utenze, ai fini della ripartizione delle spese comuni e del conseguente riaddebito in capo agli altri utilizzatori deve: 1) emettere fattura con applicazione dell’IVA per la quota di spese non di propria competenza; 2) considerare le somme rimborsategli quali un minor costo sostenuto (dato dalla differenza tra i costi sostenuti ed i rimborsi percepiti), anziché un aumento dei componenti positivi di reddito. Pertanto, i compensi percepiti non trovano allocazione tra i compensi per l’attività professionale ma vanno in diminuzione dei costi sostenuti nell’attività professionale. Pare opportuno emettere le fatture di rimborso nello stesso anno nel quale vengono pagati (e quindi dedotti, in virtù del principio di cassa) i costi originari, in modo tale che l’ammontare dei costi di esercizio corrisponda alla quota di spettanza del professionista. Il destinatario delle fatture di riaddebito, ossia l’altro professionista, considera i costi esposti in fattura quali normali costi afferenti l’attività professionale, deducibili all’atto del pagamento (principio di cassa). Studio Li Gioi Associati via delle Palme 36, Ragusa 328/6973254 327/7545583 fax 0932681865 http://www.studioligioi.com/

lunedì 14 marzo 2011

Il trattamento fiscale dei pedaggi per le aziende





In questa “pillola” vedremo insieme come trattare i pedaggi autostradali che ci troviamo a pagare nelle trasferte e negli spostamenti per motivi aziendali.
Vedremo come richiedere la fattura alle società che gestiscono le autostrade e approfondiremo il trattamento fiscale dei pedaggi in particolare per quanto riguarda la detraibilità dell’Iva e la deducibilità del costo.
Il pedaggio è la tassa che si paga per l’utilizzo dell’autostrada che può essere gestita da un soggetto pubblico oppure privato.
Importanti novità sono state introdotte con la Legge Finanziaria 2008 e risultano ancora attuali.
Al momento del pagamento del pedaggio il conducente può fare richiesta al casellante di un “Attestato di Transito” detto anche “ricevuta o scontrino”. L’attestato di transito è il documento probatorio indispensabile per richiedere la fattura alla società che gestisce il tratto autostradale percorso. Una volta in possesso della fattura sarà possibile effettuare le detrazioni e le deduzioni previste per questi costi.
La richiesta di fattura dovrà essere redatta su apposito modulo in forma scritta e dovrà contenere:
- la denominazione o ragione sociale della ditta o il nome e cognome dell’utente;
- la residenza o il domicilio dell’utente;
- la distinta analitica dei percorsi effettuati;
- la data di transito;
- il tipo e la targa del veicolo;
- importo pagato.
La richiesta di emissione della fattura dovrà essere accompagnata da attestati di transito in originale.
N.B. L’ente gestore del tratto autostradale deve emettere la fattura entro 90 giorni dalla richiesta.
Per quanto riguarda il trattamento fiscale di questi costi, esso segue gli stessi limiti previsti per gli altri costi di gestione delle vetture aziendali (art. 164 co.1 TUIR; art. 19 bis, co.1 DPR 633/1972).
Nel caso più diffuso, ovvero di veicolo ad utilizzo aziendale, dunque, la detraibilità dell’Iva sarà al 40% e nella stessa percentuale la deducibilità del costo.
Occorre precisare, inoltre, che nel caso in cui il costo sia certificato dal solo attestato di transito (ricevuta/scontrino) la percentuale di detraibilità dell’Iva sarà € 0, e il costo deducibile pari al 40%. In definitiva, l’Iva non sarà detratta ma si potrà dedurre il 40% del costo lordo.
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Ragusa
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domenica 13 marzo 2011

Come risparmiare sul pagamento delle imposte: L’acquisto di un nuovo frigorifero


Gentili lettori,
come ogni anno ci accingiamo verso il pagamento, tanto temuto, delle imposte sui redditi. Anche questo anno, come il precedente, abbiamo previsto una serie di “pillole” per cercare di farVi risparmiare sul pagamento delle imposte attraverso la detrazione di spese che possono essere sostenute dalla famiglia durante l’anno.
Ad esempio, la sostituzione del vecchio frigorifero con un apparecchio analogo, a ridotto consumo energetico, consente uno sconto sull’IRPEF. Nota bene: per beneficiare della detrazione il nuovo frigorifero deve essere di classe A+ o superiore. Il risparmio ammonta al 20% della spesa, con un massimo di € 200,00. Dunque per ottenere il massimo del beneficio, il costo del frigo non deve superare i 1000 euro.
Il bonus però vale solo se il vecchio apparecchio viene rottamato.
Al momento dell’acquisto andra’ segnalato al rivenditore che si intende sostituire il vecchio frigorifero con quello che si intende comprare. Il rivenditore dovrà rilasciare scontrino parlante o fattura in cui dovrà essere indicata la classe energetica e i dati relativi all’apparecchio nuovo e il codice fiscale dell’acquirente.
Per la rottamazione del vecchio apparecchio bisogna predisporre una dichiarazione nella quale andranno indicate le modalità relative allo smaltimento del vecchio, dichiarando se lo stesso è stato consegnato ad un Centro di raccolta rifiuti o se è stato consegnato ad un demolitore abilitato o al rivenditore stesso.

La documentazione completa dovrà essere esibita al Vs. consulente al momento della presentazione della Dichiarazione dei redditi.
Studio Associato Li Gioi
via delle Palme 36 Ragusa
0932681865

giovedì 24 febbraio 2011

Il modello Isee: cos'è e a cosa serve


La dichiarazione sostitutiva unica serve a documentare la situazione economica del nucleo familiare del dichiarante. In genere va disposta nel momento in cui si richiedono quelle agevolazioni che la legge fa rientrare all'interno delle prestazioni sociali agevolate, ovvero prestazioni o servizi sociali o assistenziali la cui erogazione (ad esempio, la partecipazione al costo o l’accesso stesso alla prestazione) dipende dalla situazione economica del richiedente. Ma, tale dichiarazione può essere utilizzata anche per l’accesso a condizioni agevolate ai servizi di pubblica utilità (telefono, luce, gas, ecc.), qualora sia così previsto dalle autorità e dalle amministrazioni pubbliche competenti.

Combinando redditi, patrimoni e le caratteristiche del nucleo familiare, vengono calcolati due indicatori: l’indicatore della situazione economica (ISE) e l’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), che permettono di valutare in maniera sintetica le condizioni economiche delle famiglie:

- l’ISE riguarda la situazione economica familiare nel suo complesso;

- l’ISEE riconduce la situazione familiare ad un valore per i singoli componenti, in maniera che si possano fare confronti tra nuclei familiari diversi per numerosità ed altre caratteristiche.
La dichiarazione sostitutiva è detta unica perché si compila una sola volta l’anno e vale per tutti i componenti il nucleo familiare.
La presentazione della dichiarazione sostitutiva non è un adempimento necessario per tutti gli utenti dei servizi sociali ma è necessaria solo quando il cittadino intende richiedere una prestazione sociale agevolata, cioè solo quando, come già detto, la modalità di erogazione della prestazione che si intende richiedere dipende dalla situazione economica del richiedente.
La dichiarazione sostitutiva è un atto importante e il cittadino che la presenta si assume la responsabilità, anche penale, di quanto dichiara. Sarà compito dell'amministrazione controllare successivamente il contenuto della dichiarazione; intanto, la dichiarazione sostituisce in tutto e per tutto i certificati e la documentazione necessaria.
In relazione ai dati autocertificati l’Agenzia delle entrate sulla base di appositi controlli automatici, individua l’esistenza di omissioni o difformità degli stessi rispetto agli elementi conoscitivi in possesso del Sistema Informativo dell’Anagrafe Tributaria.
In presenza di tali omissioni o difformità, il soggetto richiedente la prestazione può presentare una nuova dichiarazione sostitutiva unica, adeguandosi agli esiti dei controlli ovvero può comunque richiedere la prestazione mediante l’attestazione relativa alla dichiarazione presentata recante le omissioni o le difformità rilevate dall’Agenzia delle entrate. Tale dichiarazione è valida ai fini dell’erogazione della prestazione, fatto salvo il diritto degli enti erogatori di richiedere idonea documentazione atta a dimostrare la completezza e veridicità dei dati indicati nella dichiarazione. E' utile ricordare che, la prestazione di servizi non spettanti, come chiarito dall'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, punisce la fruizione di servizi non spettanti:
- con la restituzione del beneficio indebitamente fruito;
- una sanzione che può oscillare da 500 a 5mila euro.
La dichiarazione offre il grande vantaggio di evitare di esibire molti documenti e certificati ma occorre essere redatta in modo leggibile, completa e affidabile. Per tale motivo, non occorre improvvisare, ma rivolgersi a personale qualificato.
Lo Studio Associato Li Gioi è a disposizione tutti i giorni, dalle h. 14:30 alle 19:00 anche come centro di raccolta CAF.
Ragusa, via delle Palme 36

venerdì 18 febbraio 2011

Entro il 28 febbraio la Certificazione delle ritenute operate



Il sostituto d’imposta (in generale il titolare di partita iva) che corrisponde compensi, soggetti a ritenute alla fonte, deve rilasciare ai soggetti percettori un’apposita certificazione, con la quale si attestano le somme corrisposte e le ritenute effettuate nel corso del periodo d’imposta.
Per soggetti percettori si devono intendere, in linea generale:
- i lavoratori autonomi, abituali o occasionali;
- gli agenti e rappresentanti di commercio;
- i condomini in caso di contratti di appalto.
La certificazione deve essere rilasciata, a mezzo posta o mediante invio elettronico, entro il 28.02 dell’anno successivo a quello in cui le somme sono state corrisposte. Quindi, per le ritenute operate nel periodo d’imposta 2010, la certificazione deve essere rilasciata entro il 28 febbraio 2011.
Non è previsto un modello standard per la certificazione delle ritenute operate, ma può essere utilizzata una forma libera. E’necessario, tuttavia, che la certificazione contenga:
 i dati del sostituto d’imposta che sottoscrive la certificazione;
 i dati del soggetto percipiente (es: lavoratore autonomo) che ha subito la ritenuta;
 la causale della corresponsione delle somme (es.: prestazioni di consulenza);
 l’ammontare delle somme corrisposte, con separata indicazione delle somme
a cui non si applica la ritenuta d’acconto;
 l’ammontare delle ritenute operate;
 l’ammontare dei contributi previdenziali eventualmente trattenuti (es:
Gestione Separata Inps, Enasarco);
 la data di erogazione del compenso, per consentire al Fisco di accertare la tempestività del versamento della ritenuta.
La certificazione delle ritenute è necessaria ai soggetti che hanno subito le ritenute in quanto costituisce titolo per scomputare l’importo di queste dall’imposta lorda dovuta sul reddito. I dati relativi alle somme erogate indicati nella suddetta certificazione saranno utili, poi, al sostituto d’imposta nella redazione del modello 770/2011- semplificato. Tali dati dovranno, infatti, essere indicati nell’apposita sezione del modello denominata “Dati relativi alle somme erogate”.

Ma cosa è una ritenuta alla fonte e come opera?


La ritenuta alla fonte si suddivide in due categorie:
 a titolo d’acconto: è un’anticipazione dell’imposta, calcolata sul compenso percepito, che in sede di dichiarazione dei redditi andrà sottratta all’imposta complessivamente dovuta;
 a titolo d’imposta: estingue l’imposta dovuta in relazione al compenso percepito.
Il meccanismo che sta alla base della ritenuta alla fonte vede protagonisti due soggetti:
 sostituto d’imposta, è colui che, avente determinati requisiti, eroga il compenso;
 sostituito, è colui che riceve il compenso e che ha effettuato la prestazione.
Con riferimento alla ritenuta a titolo d’acconto, il procedimento è il seguente: il sostituto d’imposta eroga il compenso (che rientra in una determinata categoria di redditi) e trattiene da tale somma una quota (ritenuta a titolo d’acconto) che corrisponde ad un’anticipazione
dell’imposta dovuta dal percipiente, a titolo di Irpef o Ires. Il sostituto d’imposta deve anche:
 versare all’erario la ritenuta, per conto del sostituito, generalmente entro il
giorno 16 del mese successivo a quello del pagamento del compenso;
 predisporre la certificazione delle ritenute operate, entro il 28.02 dell’anno
successivo a quello in cui le somme sono state corrisposte;
 compilare e inviare il mod. 770.
via delle Palme 36
97100 Ragusa
0932 681865

giovedì 3 febbraio 2011

Dal 1° febbraio le nuove regole per il telemarketing

Assistiamo, in questo periodo e nelle nostre case, ad un vero e proprio bombardamento di telefonate di operatori con offerte commerciali di vario genere (fornitura energia elettrica, telefonia, cosmetici, ecc.) e spesso ci chiediamo se, oltre ad abusare della nostra pazienza, forse non stiano operando anche contra legem. La risposta è no.

A partire dalla mezzanotte del 31 gennaio 2011 sono entrate definitivamente in vigore le nuove norme sul telemarketing introdotte dall’art.20 bis della Legge 20 novembre 2009 n. 166 di conversione del D.L. 25 settembre 2009 n. 135, recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.

Come è noto, la L. n. 166/09 (che ha aggiunto all’art. 130 del D.Lgs. n. 196/03 i commi 3 bis, 3 ter e 3 quater) ha introdotto nel nostro ordinamento il regime del cosiddetto “opt out” in fatto di telefonate commerciali indesiderate, mediante l’istituzione del Registro pubblico delle opposizioni.

In precedenza nel sistema italiano, in materia di telemarketing l’unica regola imperante era la regola dell’opt-in, secondo cui il trattamento dei dati dell’interessato è legittimo unicamente se si è ottenuto il suo preventivo consenso. Adesso invece, esclusivamente per il settore delle chiamate promozionali con operatore, la regola è l’opt out, secondo cui il trattamento dei dati dell’interessato è legittimo se quest’ultimo non ha manifestato il proprio dissenso. Pertanto, in caso di silenzio dell’interessato, le società di telemarketing possono legittimamente proporre offerte commerciali per telefono.
Ci si può opporre a tale meccanismo iscrivendosi al Registro pubblico delle opposizioni (il cd. FUB) gestito dalla Fondazione Ugo Bordoni, che consente agli utenti di dichiarare esplicitamente il proprio diniego a ricevere chiamate promozionali da teleoperatori.
L’iscrizione nel Registro può essere fatta con 5 modalità:
• utilizzando un apposito modulo elettronico reperibile all’indirizzo internet: http://abbonati.registrodelleopposizioni.it/abbonati/home-abbonato;
• e-mail, telefono, lettera raccomandata, fax.
Gli indirizzi e i numeri sono presenti sul sito http://www.registrodelleopposizioni.it/
L’iscrizione al Registro delle opposizioni non comporta alcun costo ed è valida illimitatamente. Verrà richiesto l’accesso ai dati forniti, ma solo per finalità ispettive da parte del Garante per la privacy o dell’Autorità Giudiziaria.
A partire dal 1° febbraio 2011 le società che operano nel settore del telemarketing non potranno più contattare i numeri degli abbonati che si sono iscritti nel Registro.
Se un abbonato ha chiesto a una determinata azienda di non essere più disturbato, quell’azienda dovrà rispettare la sua volontà anche se l’abbonato non si e’ iscritto.
Invece, la singola azienda che in passato abbia ricevuto il consenso dell’abbonato a ricevere telefonate promozionali, potrà contattarlo, anche se questi è iscritto nel Registro. Tale consenso, che dovrà essere documentabile per iscritto al Garante, potrà comunque essere ritirato dall’interessato in qualunque momento.
Con l’entrata in funzione del Registro viene meno anche la possibilità di utilizzare le numerazioni telefoniche contenute in banche dati comunque formate (comprese quelle costituite utilizzando i dati estratti dagli elenchi telefonici prima del 1° agosto 2005), senza aver prima acquisito uno specifico consenso.
I numeri telefonici presenti in pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque (ad es. negli albi professionali) potranno essere utilizzati solo se le telefonate promozionali siano direttamente funzionali all’attività svolta dall’interessato (sempre che questi non si sia opposto) o se il telemarketing sia previsto dalla normativa di riferimento.
Il mancato rispetto delle prescrizioni dell’Autorità Garante per la privacy comporta l’applicazione di una sanzione da 30mila a 180mila euro, che, nei casi più gravi, potrà raggiungere i 300mila euro.


Studio Associato Li Gioi