Prudente. Uomo che crede al 10% di ciò che sente, ad un quarto di ciò che legge e alla metà di ciò che vede.




giovedì 16 giugno 2011

Curiosità. La partita IVA nell’attività di B&B


Con la presente rispondiamo ad un quesito pervenutoci attraverso il form del nostro sito.. L’interessato, chiedeva se, per l’attività di B&B si renda necessario l’apertura della partita IVA.
In via preliminare è opportuno evidenziare che l’attività di bed & breakfast è un’attività turistica a carattere familiare esercitata da privati, e consiste nell’offrire ospitalità a pagamento nella propria abitazione.
L’attività di bed & breakfast è disciplinata dalle singole leggi regionali concernenti turismo e strutture ricettive. Per lo svolgimento di tale attività, anche con carattere saltuario, è richiesto un minimo di posti letto, che varia da Regione a Regione.
La saltuarietà dell’attività significa che la stessa non viene esercitata sistematicamente per tutto l’anno, ma solo in alcune occasioni ed in periodi ricorrenti stagionali.
Caratteristica del servizio è che esso viene reso avvalendosi della normale organizzazione familiare e fornendo, a chi è alloggiato, cibi e bevande confezionati per la prima colazione, senza alcun tipo di manipolazione.
L’insieme delle caratteristiche delineate evidenzia la carenza di professionalità nell’esercizio della fornitura di «alloggio e prima colazione».
Di conseguenza, sotto il profilo fiscale, tale attività, esercitata in modo saltuario e con la sola organizzazione familiare, non costituisce attività d’impresa.
Per quanto concerne l’Iva, è da rilevare che il presupposto oggettivo di imponibilità sussiste qualora le prestazioni di servizi siano non occasionali e, cioè, rientranti in un’attività esercitata per professione abituale (n.b. non necessita che sia svolto a livello esclusivo).
Pertanto, se l’attività di bed & breakfast è effettivamente resa con carattere di occasionalità, è esclusa dal campo di applicazione dell’Iva e, conseguentemente, il gestore di tale tipo di attività non è tenuto a dotarsi di partita Iva, né dovrà osservare gli adempimenti correlati a tale settore impositivo. Al cliente potrà essere rilasciata una ricevuta (non fiscale), in duplice copia, numerata progressivamente, con l’indicazione dell’importo e della data del pagamento, nonché del numero di giorni di permanenza. Nel caso in
cui l’importo superi € 77,47, la ricevuta dovrà recare una marca da bollo di € 1,81. Una copia delle ricevute rilasciate all’ospite sarà trattenuta dal titolare e determinerà l’importo da dichiarare nel Modello Unico.
Si consiglia la tenuta di un registro giornaliero dal quale si evinca che, appunto, l’attività non sia svoltà in maniera professionale. In quanto, qualora l’attività in argomento venisse svolta in modo sistematico e con
carattere di stabilità, evidenziando una certa organizzazione di mezzi, la medesima attività si qualificherebbe in termini abituali e, quindi, professionali. In tal caso, l’attività rientrerebbe nel campo di applicazione dell’Iva, ai sensi dell’art. 4, co. 1, D.P.R. 633/1972 con i conseguenti obblighi.

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mercoledì 15 giugno 2011

Le novità del Decreto Sviluppo: (II) Accessi più veloci


La disposizione che contempla le ultime novità in materia di accessi è contenuta nell’art. 7, co.1, lett. a) del D.L. 13/05/2011 n. 70.
Le norme in questione prevedono altre 18 misure volte alla semplificazione per “ridurre il peso della burocrazia che grava sulle imprese e più in generale sui contribuenti”, tra queste il citato comma 1 prevede che “esclusi i casi straordinari di controlli per salute, giustizia ed emergenza, il controllo amministrativo in forma di accesso da parte di qualsiasi autorità competente deve essere unificato, può essere operato al massimo con cadenza semestrale, non può durare più di 15 giorni”.
Un ulteriore elemento di assoluta novità è rappresentato dalle precisazioni successive in base alle quali la violazione alle nuove disposizioni legislative costituirebbe illecito disciplinare.
E’ evidente che la norma non si riferisce né agli accessi in senso tecnico, né esclusivamente alle verifiche fiscali, ma riguarda la generalità dei controlli di tipo amministrativo disposti nei confronti delle micro, piccole e medie imprese, nell’ottica di ridurre tutte le condizioni di disagio derivanti dall’esecuzione di un’attività che interviene in modo invasivo ed incisivo – talvolta ripetuto da parte dei vai enti competenti – sul regolare svolgimento dell’attività dell’impresa verificata.
Di qui l’introduzione al co. 2 di alcune disposizioni finalizzate alla semplificazione dei procedimenti che rimandano ad una decreto non regolamentare da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che consenta il coordinamento delle verifiche effettuate dalle Agenzie fiscali, dalla Guardia di Finanza, dai Monopoli di Stato e dall’Inps così da poterne coordinare i controlli, evitando la duplicazione delle ispezioni ed eventuali sprechi amministrativi.
Lo scambio telematico delle informazioni sui soggetti da sottoporre ad accessi, ispezioni e verifiche, oltre ad un regolare scambio di informazioni sull’inizio di tali attività nonché sui dati utili, acquisiti nel corso delle stesse, dovrebbero garantire la corretta applicazione della norma.
Il principio concreto a cui dovrà ispirarsi l’attività di controllo fiscale degli enti verificatori sarà, dunque, quello della contestualità e della cadenza semestrale dei controlli, intesa come divieto di ripetere lo stesso entro sei mesi dal precedente.
Malgrado il generico riferimento ad un criterio di contestualità è più facile che nella pratica esso andrà riferito alle varie tipologie di verifiche programmate da un’unica Amministrazione.
Analoghe disposizioni valgono per il settore sub-statale con riferimento alle verifiche effettuate da parte delle amministrazioni locali, incluse quelle delle Forze di Polizia. In tal caso il coordinamento delle attività sarà affidato al SUAP o alle CCIAA.
Tutte le verifiche effettuate in campo di igiene pubblica, sicurezza sul luogo di lavoro, salute e repressione dei reati esulano dall’ambito di applicazione delle nuove regole.
AMBITO DI APPLICAZIONE
La norma, in sostanza, incide sullo Statuto del Contribuente che viene così modificato:
“Il periodo di permanenza presso la sede del contribuente non può essere superiore a quindici giorni in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi; anche in tali casi, ai fini dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente”;
Permane la possibilità di prorogare la durata della verifica ed anche in talune ipotesi i tempi sono ridotti alla metà rispetto alla precedente versione della norma e calcolati secondo le medesime modalità specificate con riferimento alla normale durata della verifica.

martedì 14 giugno 2011

Le novità del Decreto Sviluppo: (I) La scheda carburanti


ll Decreto Sviluppo (D.L. 13 maggio 2011, n. 70), entrato in vigore il 14 maggio 2011, si pone l’ambizioso obiettivo di promuovere lo sviluppo economico e la competitività, anche mediante l’adozione di misure volte alla semplificazione dei procedimenti amministrativi concernenti, fra l’altro, la disciplina fiscale.
Così, l’art. 7 del citato intervento recita: «per ridurre il peso della burocrazia che grava sulle imprese e più in generale sui contribuenti, alla disciplina vigente sono apportate modificazioni così articolate:
Alla lettera l) abolizione della compilazione della scheda carburante in caso di pagamento con carte di credito, di debito o prepagate».
Stato dell’arte. La scheda carburanti. L’art. 1 del «Regolamento recante norme per la semplificazione delle annotazioni da apporre sulla documentazione relativa agli acquisti di carburante per autotrazione (D.P.R. 10 novembre 1997, n. 444)», prevede che gli acquisti di carburante per autotrazione, effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti all’imposta sul valore aggiunto, siano annotati nei termini e con le modalità stabiliti nello stesso decreto in una apposita scheda cd. «carburante» che sostituisce la fattura che gli imprenditori e i professionisti devono richiedere per gli acquisti effettuati da commercianti al minuto(1*).
In tutti i casi ove sia escluso l’obbligo di compilazione della scheda carburante, l’acquirente ha il dovere di richiedere la fattura e in caso di mancanza di personale che possa rilasciare il documento, possono essere utilizzati i buoni consegna emessi dalle attrezzature automatiche da inviare ai gestori per l’adempimento in questione.
Ogni scheda carburanti deve essere intestata ad un solo veicolo a motore utilizzato nell’esercizio
dell’attività d’impresa, dell’arte e della professione e deve obbligatoriamente contenere:
1) gli estremi d’individuazione del veicolo;
2) ditta, denominazione o ragione sociale, il cognome e il nome, il domicilio fiscale e il numero di partita Iva del soggetto d’imposta che acquista il carburante.
Il distributore di carburante, per ogni rifornimento, deve annotare nella scheda, apponendo la firma per convalida i seguenti elementi:
- la data e l’ammontare del corrispettivo al lordo dell’imposta sul valore aggiunto;
- la denominazione o la ragione sociale dell’esercente l’impianto di distribuzione, ovvero il cognome e il nome se persona fisica, e l’ubicazione dell’impianto stesso (il tutto anche con apposizione del solo timbro).
Registrazione e conservazione della scheda. Il soggetto passivo Iva deve annotare distintamente, sul registro degli acquisti (ex art. 25, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) l’ammontare complessivo delle operazioni annotate su ciascuna scheda mensile o trimestrale per poi poter procedere alla liquidazione periodica Iva.
Necessario, alla fine del mese o del trimestre prima della registrazione, indicare sulla scheda il numero dei chilometri rilevato dal tachimetro del proprio mezzo per essere quindi tenuta e conservata nei modi e termini indicati nell’art. 39, D.P.R. 633/1972.
Ancora l’art. 6, co. 7, D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695 dispone che non sussiste ai fini dell’Iva, l’obbligo di annotare le fatture relative ad acquisti per i quali ricorrono le condizioni di indetraibilità dell’imposta stabilita dal co. 2 dell’art. 19, D.P.R. 633/1972 (ora dall’art. 19-bis1 dello stesso decreto) valendo tale esonero anche per le schede carburanti, in quanto documento sostitutivo della fattura qualora l’imposta relativa agli acquisti da esse documentati non sia detraibile.
NOVITA’
ABOLIZIONE della SCHEDA CARBURANTE.
Da quanto sembra emergere dagli ultimi interventi legislativi sembra potersi affermare l’abolizione dell’obbligo di compilazione della scheda carburanti in presenza di pagamenti tracciabili. Ma non bisogna giungere a conclusioni affrettate.
Non si capisce, infatti, se l’abolizione prevista dal cd. Decreto Sviluppo non ottenga, piuttosto, l’effetto opposto rispetto all’obiettivo enunciato dal Legislatore, di complicare la già dura vita del contribuente, soprattutto quello in contabilità semplificata. Difatti, la disposizione contenuta nell’art. 7, co.1, lett. l) del decreto in esame, dispone la semplice abolizione della compilazione, con la conseguenza che non chiarendo se il pagamento, effettuato con carta di credito (di debito o prepagate con esclusione del bancomat), provochi anche la possibilità di dedurre il costo dei carburanti.
A tale proposito una recente sentenza della Corte di Cassazione (18 febbraio 2011, n. 3947) afferma che «..risultano deducibili dall’azienda i costi registrati in schede carburanti nelle quali siano compilati tutti i dati identificativi dell’automezzo, il numero dei chilometri percorsi a fine mese e quelli finali rilevabili dal contachilometri ..».
Si deve qui evidenziare come la compilazione della scheda carburanti per ogni veicolo dell’azienda non costituisca, già, un obbligo quanto una facoltà al fine di poter dedurre il relativo costo e detrarne l’Iva.
Quello che ad oggi Il corollario più importante della semplificazione di cui all’art. 7, co.1, lett. l del Decreto citato è l’eliminazione dell’obbligo dell’annotazione dei chilometri percorsi alla fine di ogni mese o trimestre (con esclusione degli esercenti arti e professioni) ex art. 4, D.P.R. n. 444/1997.
Da ultimo si ricorda che il Legislatore non ha nel Decreto individuato tra le forme di pagamento ammesse alla semplificazione l’assegno bancario e circolare, il bancomat, anche se tali strumenti sono ritenuti validi ai fini del pagamento dei debiti tributari ai sensi dell’art. 23, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241.
Come troppo spesso avviene nel nostro Paese il Legislatore prima attua le disposizioni e solo dopo si occupa di definirne regole e procedure.
A nostro parere, per ora, in vista di ulteriori chiarimenti da parte del direttore dell’Agenzia delle Entrate, conviene continuare a compilare la carta carburante come fatto fino ad oggi allegandovi eventuali scontrini dei pagamenti effettuati tramite circuiti bancomat e/o carta di credito.

1* Si deve considerare che i gestori degli impianti stradali di distribuzione di carburanti per autotrazione non possono emettere fattura per la
cessione di tali prodotti (particolari disposizioni riguardano in tal senso gli autotrasportatori). Sono esclusi dalla disciplina della scheda carburanti:
a) gli acquisti non effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione;
b) gli acquisti effettuati presso gli impianti di distribuzione non destinati all’autotrazione (ad esempio, motori fissi) o dei quali tale destinazione non
può essere constatata all’atto dell’acquisto;
c) tutte le ipotesi di impossibilità di certificazione degli acquisti di carburante per mancanza del personale addetto alla distribuzione (ad esempio,
rifornimenti effettuati durante l’orario di chiusura attraverso le attrezzature denominate «self service pre-pagamento»);
d) gli acquisti di carburanti effettuati presso gli esercenti impianti stradali di distribuzione, dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali, dagli istituti
universitari e dagli enti ospedalieri, di assistenza e beneficenza, dagli autotrasportatori di cose per conto terzi.
Studio Fiscale Li Gioi
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lunedì 13 giugno 2011

La cassa negativa presume un’anomalia contabile

Con una sentenza del 31 maggio di quest’anno, la Corte di Cassazione, ha stabilito che “In tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini Irpeg ed Iva, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumerne l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo”.
Il caso. L’Agenzia delle Entrate rettificava il reddito dichiarato da una società, ai fini Iva e Irpef, sulla scorta di una verifica fiscale, con la quale aveva recuperato a tassazione ricavi in nero per oltre 200 mila euro.
Contro l’atto impositivo la società, una srl che svolgeva attività commerciale, aveva presentato ricorso alla competente Commissione Tributaria provinciale, i cui giudici ne avevano accolto i motivi.
Anche la Commissione Regionale aveva avallato la decisione dei giudici di prima istanza, motivando che “il recupero operato del saldo negativo di cassa come importi non contabilizzati fosse privo di ogni logica”, ciò anche perché (in termini spiccioli) l’ufficio non aveva avuto cura di dimostrare il rapporto esistente “tra la movimentazione del conto cassa e gli ulteriori ricavi accertati”. L’Ufficio, a sostegno della propria tesi, aveva ritenuto che tutte le movimentazioni finanziarie riportate nel conto cassa sono il riflesso della gestione economica aziendale, pertanto, se il mastro di cassa presenta un saldo negativo, vuol dire che dalla cassa è uscito più denaro di quanto ne sia entrato, il che è possibile solo se non sono stati registrati tutti gli incassi e tutti i ricavi. Il chè costituisce la prova che in realtà vi sono ricavi non dichiarati pari allo scoperto di cassa.
Cassa in rosso. Secondo la dottrina e la giurisprudenza la cassa negativa (o cassa in rosso) è una situazione contabile impossibile da verificarsi nella realtà.
Infatti, la chiusura “in rosso” di un conto di cassa significa, senza dubbi, che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati. In tali ipotesi è facile evincere l’esistenza di altri ricavi, non registrati, in misura almeno pari al disavanzo. In altri termini, il saldo negativo di cassa sta a significare che dal conto cassa sono «usciti» più denari di quanti ne sono «entrati». Il saldo del conto cassa può essere solamente positivo ovvero pari a zero, mentre non può mai essere negativo. Di conseguenza, la Suprema Corte, anche in questa occasione, ha ribadito che “si deve ritenere che una chiusura di cassa con segno negativo, oltre a rappresentare un’anomalia contabile, denota sostanzialmente l’omessa contabilizzazione di un’attività (almeno) equivalente al disavanzo”.
Secondo questa ricostruzione è facile pervenire alle logiche conseguenze ovvero che il saldo del conto cassa è negativo nei seguenti casi:
• una parte dei denari entrati in cassa non è stata registrata in contabilità (ad esempio, entrate per ricavi in nero; mancata emissione di scontrino o di fattura, ecc.);
• errori di registrazione contabile nel conto cassa.
Onere probatorio. Sotto il profilo della ripartizione dell’onere probatorio tra contribuente e Fisco, non può essere trascurata la pronuncia della Suprema corte in cui si è affermato che “posto che il conto “cassa" rientra sicuramente tra le scritture contabili, ancorché non obbligatorie, astrattamente idonee ad essere utilizzate dall’ufficio ai fini dell’accertamento quale "documento relativo all’impresa". I giudici d’appello non hanno spiegato, in cosa consisterebbe "l’erronea imputazione", operata dal contribuente nel predetto conto e ritenuta idonea a superare la contraria valenza presuntiva (di corrispettivi non contabilizzati) attribuita all’ufficio ai saldi negativi del conto medesimo”.
Il fisco, dunque, può considerare ricavi in nero la differenza fra il saldo negativo di cassa e gli introiti registrati.

martedì 7 giugno 2011

(II) Acconto ICI. Versamenti entro il 16 Giugno

Calcolo dell’imposta
Per il calcolo dell’ICI occorre innanzitutto determinare il valore del fabbricato, dell’area edificabile o del terreno agricolo, ovvero la base imponibile.
L’imposta dovuta per l’anno 2011 è determinata applicando alla base imponibile l’aliquota stabilita dal Comune in cui è ubicato l’immobile.

Fabbricati. La base imponibile è costituita dal valore della rendita catastale al 1° gennaio dell’anno in corso, aumentata del coefficiente di rivalutazione del 5% e di un fattore moltiplicativo diverso a seconda la tipologia di immobile e pari a:
- 100 per unità immobiliare classificate nel Gruppo Catastale A (abitazioni) e Gruppo C (magazzini, depositi, laboratori, autorimesse, ecc.);
- 50 per le unità immobiliari classificate nel gruppo D (opifici, alberghi, teatri, banche, ecc.) e nella categoria A/10 (uffici e studi privati). Per gli immobili appartenenti al Gruppo D, privi di rendita catastale al 1° gennaio 2011 e posseduti da imprese, si assume come base imponibile il valore calcolato in base al costo di acquisizione e degli oneri incrementativi contabilizzati, moltiplicati per i coefficienti di aggiornamento stabiliti con Decreto Ministeriale.
- 34 per le unità immobiliari classificate nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe);
- 140 gli immobili classificati nella categoria B.

Aree Fabbricabili. La base imponibile è costituita dal valore venale in comune commercio, calcolato sulla base del territorio di ubicazione, indice di edificabilità, destinazione d’uso, oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, prezzi medi rilevati sul mercato di vendita di immobili con caratteristiche simili. Il comune, con proprio regolamento, può emanare il valore di aree fabbricabili, con l’effetto di limitare il suo potere di accertamento e ritenere congruo il valore dichiarato in misura non inferiore a quella fissata dal regolamento.

Terreni agricoli. La base imponibile è costituita dal reddito dominicale iscritto in catasto al 1° gennaio 2011, aumentato del 25% e moltiplicato per il fattore 75.
Tuttavia, per i terreni agricoli condotti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli, iscritti negli elenchi commerciali e con obbligo di assicurazione, la legge prevede delle soglie di detrazione (che diminuiscono al crescere del valore del terreno), tali per cui:
- risultano esenti se il valore non raggiunge € 25.822,84;
- sono ridotti del 70% per un valore compreso tra € 25.822,85 e € 61.974,83;
- sono ridotti del 50% per un valore compreso tra € 61.974,84 e € 103.291,38;
- sono ridotti del 25% per un valore compreso tra € 103.291,39 e € 129.114,22;
- nessuna riduzione se superiore.
Sono esclusi dall’applicazione dell’imposta “gli orticelli”, terreni diversi dalle aree edificabili sui quali le attività agricole sono esercitate in maniera occasionale, non professionale e senza organizzazione.

ABITAZIONE PRINCIPALE
Con L. 126/2008 è stata prevista l’esclusione dell’Ici dall’abitazione principale se di categorie catastali diverse dalla A/1, A/8, A/9.

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(I) Acconto ICI. Versamenti entro il 16 Giugno



E' il 16 giugno il termine ultimo per versare l'acconto ICI per l'anno 2011.
L'imposta comunale sugli imbobili deve essere pagata, infatti, lo stesso anno in cui si realizza il presupposto impositivo ovvero il possesso - a titolo di proprietà, usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie - di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli, situati nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, compresi gli immobili strumentali all'esercizio dell'attività professionale, artigianale o imprenditoriale, nonché quelli alla cui produzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa.
Tuttavia, mentre l'Ici è dovuta in base all'evolversi della situazione patrimoniale del contribuente, la Dichiarazione ICI va presentata quest'anno, nel caso in cui si siano verificate variazioni nella situazione patrimoniale degli immobili nel 2010 rispetto alla situazione dell'anno precedente.
Il versamento può avvenire in due rate (acconto 16/6 - saldo 16/12) o in unica soluzione il 16/6 salvo diversa disposizione comunale:
- nel primo caso, l'acconto va calcolato in base all'aliquota e le detrazioni previste per l'anno di imposta precedente (2010), il saldo calcolato sulla base delle aliquote e detrazioni deliberate dal comune per l'intera imposta dell'anno in corso, al netto delle somme versate a titolo di acconto;
- nel caso di unico versamento, le aliquote e le detrazioni da tenere in considerazione sono quelle dell'anno in corso.
Se l'immobile viene destinato ad altro uso nel corso del 2011. La prima rata deve essere commisurata ai dodici mesi dell'anno precedente e si dovrà tener conto nel conguaglio delle modifiche avvenute.

Se l'immobile è acquistato nel corso del 2010 (es. aprile). L'acconto per il 2011 deve essere determinata sulla base delle aliquote e le detrazioni vigenti in tutto il 2010, a prescindere dala circostanza che il periodo di possesso sia inferiore all'anno. In sede di conguaglio andranno utilizzate le aliquote e le detrazioni vigenti nel 2011.

Se l'immobile è stato acquistato nel primo semestre del 2011. L'imposta dovuta a titolo di acconto deve essere commisutata ai dodicesimi sulla base delle aliquote vigenti nell'anno precedente e, in sede di conguaglio, utilizzare le aliquote stabilite dal comune per l'anno in corso.

Se l'immobile è stato venduto nel corso del primo semestre 2011. La prima rata può essere commisurata a tanti dodicesimi dell'imposta dovuta per l'intero anno 2010 sulla base delle aliquote allora in vigore, quanti sono i mesi di possesso nel 2011. L'eventuale differenza dovuta sulla base di diverse aliquote deliberate dal comune nel corso dell'anno, andranno versate in sede di conguaglio.

Nei casi più comuni, in sede di applicazione dell'imposta si possono verificare le seguenti situazioni:

- immobile posseduto da più proprietari, l'imposta deve essere ripartita proporzionalmente tra di loro e versata separatamente o cumulativamente;

- immobile costituito da un diritto reale di godimento, obbligato al versamento è il titolare di questo diritto;

- in presenza del diritto di abitazione, obbligato è il titolare di questo diritto;

- in caso di assegnazione di casa al coniuge in caso di divorzio o separazione, secondo orientamento consolidato della giurisprudenza di Cassazione, obbligato rimane il proprietario dell'immobile e non l'assegnatario.



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