Prudente. Uomo che crede al 10% di ciò che sente, ad un quarto di ciò che legge e alla metà di ciò che vede.




venerdì 5 febbraio 2010

Italiani sveglia! Atto Primo


La crisi sta gettando sulla strada migliaia di lavoratori. I senza lavoro erano 2.138.000 a fine 2009 e ad oggi l'andamento non subisce battute d'arresto. La classe politica dal canto suo sta a guardare. In televisione i signori onorevoli trasmettono dati che pur veritieri vengono confezionati nella forma che fa più comodo all'uso e consumo del marketing politico e allora, dove il cittadino più avveduto riesce a districarsi, il profano viene ingannato. Così, quando si parla di inflazione o disoccupazione, che se usati impropriamente, non rendono la verà realtà dei problemi che sottintendono. Forse per mascherare l'inefficienza di una politica economica minimale. Troppo timorosa. In mano ad un giurista, ossessionato dalla tenuta dei conti pubblici, che è opportuno controllare (per non arrivare ai risultati di Argentina e ai salti mortali che, probabilmente, ci toccherà fare, in Europa, per non lasciare fallire la Grecia), ma non in modo così rigido, cioè tale da frenare ogni investimento utile.
Si dice continuamente, o meglio, una parte politica lo fa, che l'Italia abbia fatto meglio degli altri paesi. Ma su cosa? Ad una analisi imparziale, è stata in grado di fermare la speculazione nei mercati finanziari, bloccando le vendite allo scoperto; non ha lasciato fallire banche, anche perchè non c'erano situazioni così disastrose e si è premurata di far si che le banche non chiudessero il rubinetto dei crediti alle piccole e medie imprese, cosa che forse è riuscita a fare un pò meno. Tutto ciò è comunque apprezzabile. In secondo, ha mantenuto il debito stabile. Ma su questo ho forti dubbi che possa considerarsi univocamente fattore di positività. Mi spego. Se ho un' azienda fortemente indebitata e non faccio nulla per migliorare la situazione, tagliando il surperfluo, migliorando la combinazione dei fattori o ricorrendo ad ulteriore debito, non so se posso dire che sto facendo bene perchè non ho lasciato aumentare il debito. Sto solo lasciando correre la situazione sperando che si risolva da sola, che qualcuno la risolva per me o peggio fin quando si arriverà al punto che il dissesto sarà inevitabile. Così l'Italia. Dunque, sarebbe ora di allentare un pò la stretta, perchè, se si tappano le falle senza una visione complessiva del problema, talaltro con partite di giro che tolgono fondi da un settore per spostarlo su un altro, non ci può essere sviluppo. Non si preparano le basi per il futuro e l'Italia si troverà con un numero di disoccupati sterminato. Occorre in genere una crescita stabile del 3% (all'incirca) per far si che cresca la fiducia degli imprenditori e l'occupazione inizi a crescere. Dalla crisi bisogna uscire con una economia che ha eliminato le speculazioni. Meno dipendente dalla finanza e più equilibrata. Qui ci si gioca il futuro.
E' da anni che si parla di ridurre la tassazione del lavoro dipendente, fonte principale di reddito dello stato, che si riflette direttamente sui costi delle aziende. Il massimo che si è riuscito a fare è stato ridurre l'acconto irpef di novembre 2009 del 20%, facendolo slittare al 2010. Per quanto riguarda, poi, il welfare: se parliamo di sostegno ai precari e ai liberi professionisti che perdono il lavoro, siamo fermi a livelli da terzo mondo. Si aspettano che i conti migliorino. Ma i conti qui non tornano mai. Basta aver letto la prima pagina di un libro di economia per capire che in tempo di crisi, la soluzione peggiore è quella di bloccare la spesa o, che è peggio, aumentare quella improduttiva. Se si vuole uscire dalla crisi bisogna far ripartire la domanda con investimenti in infratture, innovazione, tecnologia, ricerca. Se non si sostiene la domanda con politiche fiscali espansive, i consumi non possono ripartire. Se non ripartono i consumi, le aziende non producono. Se le aziende non producono, non investono. Se le aziende non investono, finchè riescono, mantengono, poi licenziano e delocalizzano. E' un circolo che sta alla politica rendere virtuoso. Le imprese malate, secondo le regole della concorrenza, dovrebbero uscire dal mercato. In caso contrario, i problemi non sarebbero risolti, ma solo rimandati (Alitalia docet!). Far uscire una impresa dal mercato, vuol dire sacrificare, posti di lavoro. Ciò costa in termini di Welfare. Continuare a sostenerla, è un palliativo. Ciò costa in termini di efficienza. Ma in tempo di crisi può essere il minore dei mali. Sono scelte di politica economica. Decidere per una soluzione, anzichè per l'altra comporta spese. Ma è opportuno scegliere. La politica dovrebbe far capire da quale parte sta, e decidere in fretta. Ad oggi purtroppo pensa solo ai proclami o a risolvere altri problemi, più urgenti! Italiani sveglia!
Li Gioi Giovanni

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