Senza entrare nel significato giuridico dei titoli azionari (per cui c'è il codice civile) vorrei sfatare un altro mito che molto spesso si usa ripetere: "le azioni non sono per i cassettisti!" oppure "le azioni vanno seguite!" (Ma cosa significa? Se compro un auto, non mi assicuro forse, quando mi sveglio, che sia ancora parcheggiata nel punto in cui l'ho lasciata il giorno prima o me ne frego altamente tanto sono assicurato?) Il discorso torna sempre al punto iniziale. Capire cosa si vuole ottenere dall'investimento e quali sono i nostri obiettivi di medio e lungo termine. A furor di popolo la risposta sarebbe ovvia: buon rendimento e capitale garantito, ma se quello che ho scritto in un post precedente è assodato, avremo ormai capito che ne l'uno, ne l'altro sono così sicuri. Ad esempio chi dubiterebbe del fatto che il Titolo di Stato sia il più sicuro anche se dà il più basso rendimento? Nessuno, forse. Ma se lo chiedessimo agli argentini (dopo la bancarotta dello Stato), ai greci (con la scure del rischio default che pende sulla testa) e senza andare troppo lontano, a noi italiani (con un rapporto debito/pil del 127%)? La risposta non sarebbe più tanto immediata. Allora perchè rischiare così tanto per essere remunerati così poco? Porto l'esempio al limite del paradosso. Se ho investito 10 anni fa €100 nei fondi Madoff o in Lehman ed ho guadagnato annualmente il 10%, in fin dei conti non ho forse ottenuto il 100% in interessi? E se invece avessi investito in un bond argentino al 2%? Dove è stata la perdita maggiore? Allora la seconda parolina da tener bene a mente quando si investe sui mercati azionari è: "diversificazione"! Ma è ancora troppo presto per iniziarne a parlare. Tornando alle azioni, prima di perderci ulteriormente nella vastità del discorso, mi riaggancio al fondamento di questi post: gli obiettivi. Se compro un'azione posso tenerla in portafoglio affinchè durante gli anni mi renda una certa percentuale del capitale investito (dividendo) o aprire delle "posizioni" di durata più breve per chiuderle quando i prezzi sul mercato volgono a mio favore: posso comprarla (al prezzo più basso) per rivenderla (al più alto): si parla in questo caso di posizione "long" o "rialzista"; posso venderla (al prezzo più alto) per comprarla (al più basso): posizione "short" o "ribassista". E nessuno mi vieta magari di entrare da "cassettista" (il termine che piace ai più) e cambiare strategia quando ho ottenuto ciò che mi ero prefisso in termini di capitale o rendimento. Tutto, sta nel tenere in considerazione il fatto che il valore dei titoli varia di continuo, perchè accade e se sono disposto a tollerarlo. In un mercato di concorrenza perfetta il valore di un titolo rispecchierebbe in ogni istante il reale valore economico del capitale della società (opportunità, reddito potenziale, flussi di cassa, ecc.) e qualora un titolo, a parità di condizioni, offrisse possibilità di rendimento superiore ad un altro, si investirebbe su di esso. Ciò farebbe aumentarne il prezzo e si annullerebbe quel vantaggio di cui si è appena parlato. I mercati reali, anche facendo di tutto per aumentarne l'efficienza, non saranno mai perfetti e le variabili che ne influenzano il prezzo sono molteplici (e talvolta sono anche create ad hoc per "giustificare" a posteriori l'andamento piuttosto che prevederlo): quadro macroeconomico o politico-sociale, risultati di periodo, eventi straordinari, semplice opportunità e umori. Supponiamo quest'ultimo caso. Il prezzo del titolo che io ho comprato a 10 scende a 8 perchè un grosso investitore sta disinvestendo dalla società. Ma i conti sono a posto, i ricavi stabili, i dividendi in crescita, le certificazioni senza rilievi: quale sarebbe il mio interesse a disinvestire dalla società se essa sta perfettamente realizzando quello che mi sono prefisso ed, anzi, perchè non cogliere l'opportunità per rafforzare la mia posizione su di essa? Il discorso è diverso se io fossi entrato nell'investimento attraverso un posizione "long" o "short". Avrei perso in termini di capitale nel primo caso e guadagnato nel secondo. Mi sarei potuto proteggere in tanti modi ma ogni protezione comporta comunque un costo (e quando è un grosso investitore a muoversi sul mercato ogni cautela presa può risultare inadeguata e gli effetti devastanti o meravigliosi, a seconda del punto di vista da cui lo si osserva). In questi casi, non c'è analisi tecnica del titolo che tenga: supporti, resistenze, candele giapponesi, medie mobili, indici di forza relativa vanno tutte a farsi benedire. Il market maker muove il mercato ed anche il trader più attento può venire risucchiato.
Quando si parla di Borsa allora è bene distinguere tra chi "scommette" e chi "investe".
Personalmente preferisco la seconda categoria. Sorretta dall'analisi fondamentale delle società e non di quella tecnica del titolo consente di guardare con più sicurezza all'investimento; ed anche se non ci rende immuni, di sicuro ci lascia più "tranquilli" e meno dipendenti dalle speculazioni e dagli umori del mercato nel breve e brevissimo periodo.
Giovanni Li Gioi
domenica 21 marzo 2010
Viaggio all'interno dei mercati: le azioni!
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