Prudente. Uomo che crede al 10% di ciò che sente, ad un quarto di ciò che legge e alla metà di ciò che vede.




lunedì 27 dicembre 2010

Architetti e ingegneri: dal 1 gennaio i nuovi contributi Inarcassa


Sono tanti i cambiamenti impressi al sistema contributivo previdenziale degli architetti e degli ingegneri, scaturiti dalla riforma siglata, dai rispettivi delegati, e varata con decreto interministeriale il 5 marzo scorso.
Pur nella consapevolezza del lavoro svolto da Inarcassa per portare a conoscenza degli associati le nuove soglie contributive e tutte le novità del sistema, cercheremo di riassumerle brevemente in questo post.

Contributo Integrativo

L’aliquota del contributo integrativo è elevata dal 2% al 4%. Questo è calcolato in misura percentuale sul volume di affari dichiarato ai fini IVA per l’anno di riferimento ed è ripetibile nei confronti del committente, può, cioè, essere addebitato in fattura al cliente. Il professionista, cioè, addebiterà 4% sul compenso a titolo di contributo assistenziale e previdenziale.
Contributo minimo. Il contributo integrativo minimo, a decorrere dal primo gennaio, sarà comunque di € 360,00. Per i nuovi iscritti e per il periodo in cui usufruiscono delle agevolazioni, il contributo minimo si riduce a 1/3, fermo restando l’integrale obbligo di versamento di quanto addebitato alla clientela (se superiore).
N.B. Il contributo integrativo NON è dovuto nelle prestazioni effettuate nei rapporti di collaborazione tra ingegneri e architetti, anche in quanto partecipanti ad associazioni o società tra professionisti. Non è dovuto, ugualmente, nelle prestazioni effettuate nei rapporti di collaborazione tra società di ingegneria e tra queste e gli ingegneri e gli architetti, anche in quanto partecipanti ad associazioni o società di professionisti. Il contributo è sempre dovuto qualora la società o l’associazione è il cliente finale.

Contributo Soggettivo.

Rivisto al rialzo anche il contributo soggettivo obbligatorio, pari per il 2010 al:
- 10% per redditi fino alla soglia di € 80.850,00;
- 3% per la quota di reddito che supera tale soglia.
Contributo Soggettivo Minimo. Come per il contributo integrativo, anche in questo caso è prevista una soglia minima, che per il 2010 è individuata in € 2400,00.
Resta ferma per i nuovi iscritti e per il periodo in cui valgono le agevolazioni la riduzione di tale importo ad 1/3, mentre, in caso si ricada nell’aliquota calcolata in percentuale, essa è ridotta al 5%.


Lo Studio è a disposizione per qualsiasi chiarimento

Distinti saluti

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venerdì 24 dicembre 2010

Sereno Natale a tutti i lettori e i loro cari!


martedì 21 dicembre 2010

Le targhe dei professionisti e l'imposta sulla pubblicità


Qualche settimana fa è stata pubblicata la Sentenza n. 16722/2010, che sembra finalmente risolvere, una volta per tutte, l’annosa questione riguardante le tasse sulle targhe dei professionisti.
Pensando di fare cosa gradita, si pubblica, anche sul nostro blog un estratto al fine di rendere edotta la categoria "professionisti" su una questione che ha spesso provocato abusi da parte degli Uffici comunali. Con la suindicata sentenza, la Corte di Cassazione ha ritenuto, che le targhe professionali non sono soggette all’imposta sulla pubblicità ma, alle stesse, va riconosciuta l’esenzione prevista per le insegne di esercizio delle attività commerciali e di produzione di servizi.
Se la targa esposta all'esterno dello studio professionale non contiene messaggi promozionali ma unicamente i nomi, l’attività svolta ed il luogo dello studio, non va assoggettata all’imposta.

L’IMPOSTA COMUNALE SULLA PUBBLICITA’

Il D.Lgs. 507/1993 stabilisce, che i messaggi pubblicitari diffusi nell’ambito di un’attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni e servizi o migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato, vanno assoggettati all’imposta comunale sulla pubblicità. La misura dell'imposta varia a seconda della tipologia e delle dimensioni del mezzo pubblicitario utilizzato, della localizzazione del messaggio e della durata dell'esposizione. Il decreto prevede alcune ipotesi di esenzione dal tributo. In particolare, sono esenti da imposta le targhe:
 con superficie inferiore ai 300 cm2;
 ad esposizione obbligatoria per disposizione di legge o regolamento (ambulatori medici, studi notarili, farmacie), se di superficie non superiore a 500 cm2;
 qualificabili come “insegne di esercizio”.

L’ESENZIONE PER LE INSEGNE DI ESERCIZIO
Per “insegna di esercizio” è da intendersi una scritta, anche luminosa, in caratteri alfanumerici, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a cui si riferisce e nelle pertinenze accessorie alla stessa, che abbia la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell’attività economica.
Le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che
contraddistinguono la sede ove si svolge l'attività cui si riferiscono e di superficie complessiva non superiore a 5 m2 non sono soggette a imposta.
Se la superficie complessiva dell’insegna supera il limite di 5 m2, l’imposta va corrisposta sull’intera superficie.
L’esplicito richiamo normativo alle “insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi” ha prodotto alcune problematiche di natura interpretativa. Si è infatti posto il problema se tale ipotesi di esenzione potesse essere applicabile anche alle targhe dei professionisti, la cui attività non è riconducibile alla produzione di servizi (ossia, a un’attività qualificabile come imprenditoriale) ma integra, piuttosto, una prestazione di servizi.
Sul punto era intervenuta una Circolare, la n. 3/2002 MEF, con la quale si era precisato che le targhe dei professionisti possono rientrare nella definizione di esonero in quanto assolvono al compito di individuare la sede ove si svolge un’attività economica. La questione, tuttavia, era rimasta assai dibattuta, tra parte della giurisprudenza che si era indirizzata verso una lettura restrittiva della norma, e prassi ministeriale, propensa per un’interpretazione estensiva.
A dirimere la questione è quindi giunta la Sentenza n. 16722/2010 della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria. La pronuncia della Cassazione prende avvio da un avviso di accertamento emesso nei confronti di professionisti (nella specie, avvocati) i cui nominativi comparivano su una targa adiacente al portone d'ingresso dello studio professionale, riportante, oltre ai nominativi, la specifica dell'attività esercitata e l'ubicazione dello studio, senza altre connotazioni o peculiarità.
Il concessionario per la riscossione aveva proceduto al recupero d’imposta ritenendo che la targa professionale non potesse fruire dell’esimente riconosciuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi.
Le motivazioni addotte dal concessionario erano state ritenute valide dai giudici di merito che sia in primo, sia in secondo grado, avevano confermato la legittimità dell'atto impositivo.
La disputa è quindi giunta innanzi alla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, la quale ha ritenuto inammissibile che i professionisti possano essere soggetti ad un regime fiscale differenziato e più gravoso rispetto a quello riservato a coloro che svolgono una qualsiasi altra attività economica.
In particolare, dopo aver riconosciuto che la norma di esenzione sembrerebbe trovare applicazione per le sole attività degli imprenditori, la Corte ha precisato che secondo consolidata giurisprudenza comunitaria, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento.
In tale ottica, anche l’attività svolta dai professionisti costituisce un’impresa e, pertanto, l'esclusione dall'ambito applicativo dell’esenzione prevista per le insegne di esercizio deve essere riconosciuta anche per le targhe degli studi professionali.
In conclusione, pare utile evidenziare gli elementi dell’insegna che possono fruire dell’esenzione dall’imposta di pubblicità ai sensi dell’art. 17, c. 1-bis, D.Lgs. 507/1993:
 nominativo del professionista o dello studio;
 tipologia e descrizione dell'attività esercitata;
 marchi dei servizi offerti.

Lo studio è a disposizione per qualsiasi chiarimento.

Distinti saluti
Studio Li Gioi
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lunedì 13 dicembre 2010

ENTRO IL 27 DICEMBRE IL VERSAMENTO DELL’ACCONTO IVA

Entro il prossimo 27 dicembre, i soggetti titolari di partita IVA devono effettuare il versamento dell’acconto IVA per l’anno 2010.
L’adempimento interessa la generalità dei contribuenti che svolgono un’attività d’impresa, arte o professione, sotto qualunque forma giuridica.
Ai fini del calcolo dell’acconto, sono previste tre diverse metodologie, tra loro alternative.

COME SI DETERMINA L’ACCONTO IVA
La normativa IVA prevede tre diverse metodologie di calcolo, tra loro alternative:
 metodo storico
 metodo previsionale
 metodo delle operazioni effettuate.

Tra questi il contribuente può utilizzare quella che gli consente di versare
l’importo minore.

Con il metodo storico l’acconto è pari all’88% del versamento effettuato (o che avrebbe dovuto essere effettuato) nello stesso periodo dell’anno precedente. La base di riferimento è quindi commisurata all’ammontare dell’IVA a debito (acconto IVA 2009 + saldo IVA a debito 2009).

Con il metodo delle operazioni effettuate si versa il 100% dell’imposta a debito come risultante dalla liquidazione straordinaria al 20
dicembre 2010 riferita all'ultimo periodo di liquidazione periodica.

Con il metodo previsionale, invece, si versa l’88% di quello che si presume sarà il debito risultante per il mese di dicembre dell’anno in corso (contribuenti mensili) o per l’ultimo trimestre dell’anno in corso (contribuenti trimestrali), al netto dell’eventuale eccedenza a credito riportata dal mese o trimestre precedente.



Il versamento dell’acconto non è dovuto nei seguenti casi:
 inizio dell’attività nel corso del 2010;
 base di riferimento a credito (storico 2009 o presunto 2010);
 cessazione dell’attività entro il 30.9.2010 (contribuenti trimestrali);
 cessazione dell’attività entro il 30.11.2010 (contribuenti mensili);
 soggetti che hanno effettuato esclusivamente operazioni esenti o non imponibili ai fini IVA;
 soggetti che operano in particolari regimi d’imposta (nuove iniziative, contribuenti minimi);
 soggetti che sono usciti dal regime dei minimi e delle nuove iniziative con decorrenza 2010;
 produttori agricoli in regime di esonero ex art. 34, c. 6, DPR 633/1972;
 soggetti che esercitano attività di intrattenimento ex art. 74, c. 6, DPR 633/1972;
 società e associazioni sportive dilettantistiche in regime forfetario ex Legge 398/1991.

domenica 5 dicembre 2010

Gli omaggi di Natale. Disciplina fiscale


Con l’approssimarsi delle festività natalizie ritorna d’attualità la problematica fiscale attinente gli omaggi destinati alla clientela ed ai propri dipendenti. Pensando di fare cosa utile esaminiamo in questa mail il relativo trattamento contabile e fiscale.
Fiscalmente, l’acquisto di beni e servizi finalizzato alla cessione gratuita a terzi rientra nel genus delle “spese di rappresentanza” ossia, come precisato nella C.M. 328/E/1997, tra le spese sostenute “(…) per offrire al pubblico un’immagine positiva di se stessi e della propria attività, nonché per promuovere l’acquisizione e il consolidamento del proprio prestigio.”
Le novità recate dalla Legge Finanziaria 2008 alla disciplina fiscale delle spese di rappresentanza (individuazione di specifici criteri di qualificazione e introduzione di un limite quantitativo di deducibilità in luogo di quello forfetario) riguardano esclusivamente il reddito d’impresa e, pertanto, non sono applicabili ai professionisti. Si evidenzia, tuttavia, che la CM 34/E/2009 ha precisato come l’inquadramento generale di tali spese, fornito dall’art. 108, c. 2, TUIR, e dal DM 19.11.2008, assume rilevanza anche per i professionisti, almeno per quanto concerne l’individuazione delle spese che possono essere qualificate come di rappresentanza. Pare quindi opportuno riepilogare i criteri che qualificano una spesa come “spesa di rappresentanza”.
Il DM 19.11.2008 individua nella “gratuità” la caratteristica essenziale delle spese di rappresentanza e richiede che tali spese siano:
1) sostenute con finalità promozionali e di pubbliche relazioni;
2) ragionevoli in funzione dell’obbiettivo di generare, anche potenzialmente, benefici
economici;
3) coerenti con gli usi e le pratiche commerciali del settore.

TRATTAMENTO IRPEF

Come previsto dall’art. 54, c. 5, TUIR, le spese di rappresentanza sono deducibili dal reddito del professionista nel limite dell’1% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta (a prescindere dal valore unitario dei beni omaggio).
In particolare, rientrano, in ogni caso, tra le spese de quo i costi sostenuti per l’acquisto di:
 oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione, anche se utilizzati come beni strumentali;
 beni destinati ad essere ceduti a titolo gratuito.
Gli OMAGGI ALLA CLIENTELA sono dunque deducibili nel limite dell’1% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta (a prescindere dal valore unitario). Il limite dell’1% va sempre commisurato ai compensi effettivamente percepiti e dichiarati nel mod. UNICO, non è quindi possibile prendere a riferimento quanto nominalmente fatturato.

ES.1. Un avvocato omaggia un proprio cliente di una bottiglia di spumante del valore di € 20 più IVA € 4. Per l’annualità 2010 il professionista presenta compensi per € 30.000. L’omaggio risulta totalmente deducibile poiché il valore dello stesso risulta inferiore all’1% dei compensi: 30.000 x 1% = 300 ( € 20 < € 300). In base al disposto letterale dell’art. 54, TUIR, parrebbero rientrare nel novero delle spese di rappresentanza tutti i costi sostenuti dal professionista quando destinati ad una successiva cessione a titolo gratuito. Si ritiene, tuttavia, che assuma rilevanza anche il requisito dell’inerenza (come del resto suggerisce l’Agenzia delle Entrate nella C.M. 34/E/2009). Dunque, ai fini della deducibilità, occorre che il sostenimento di tali oneri sia inerente rispetto all’attività professionale esercitata e, quindi, direttamente o indirettamente, correlato ai compensi percepiti o che si presume (fondatamente) di percepire. Ne risulta, ad esempio, che eventuali spese manifestamente sostenute a favore di familiari od amici, non rientrano nel novero delle spese di rappresentanza e sono quindi da considerarsi indeducibili dal reddito professionale.
OMAGGI AI DIPENDENTI (ASPETTI IRPEF)
Pur nel silenzio della norma, si ritiene che le liberalità a favore dei lavoratori dipendenti rientrino tra le spese per prestazioni di lavoro. Di conseguenza, il costo sostenuto per l’acquisto di tali beni è interamente deducibile dal reddito. Si ritiene, dunque, che gli OMAGGI AI DIPENDENTI siano interamente deducibili (se qualificate quali prestazioni di lavoro dipendente). Tuttavia, una parte, invero minoritaria, della dottrina, sostiene che gli omaggi ai dipendenti del professionista, rientrino comunque tra le spese di rappresentanza (con deducibilità limitata all’1% dei compensi percepiti). La ratio di tale posizione è data dal fatto che tra le disposizioni concernenti la determinazione del reddito di lavoro autonomo non è rinvenibile una disposizione analoga a quella prevista dal TUIR per gli esercenti imprese commerciali (art. 95, c. 1, TUIR) ove si afferma che tra le spese per prestazioni di lavoro dipendente si comprendono anche quelle in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore dei dipendenti.
TRATTAMENTO FISCALE IN CAPO AL DIPENDENTE L’incertezza di trattamento, può portare alla conseguenza che gli omaggi erogati ai dipendenti possono produrre effetti fiscali “indesiderati” in capo agli stessi. Infatti, ai sensi dell’art. 51, TUIR, le erogazioni liberali concesse:
 in denaro, concorrono sempre (indipendentemente dal loro ammontare) alla formazione del reddito di lavoro dipendente e sono, quindi, assoggettate a tassazione;
 in natura (beni, servizi o buoni rappresentativi degli stessi), non concorrono alla formazione del reddito se di importo non superiore ad € 258,23 nel periodo d'imposta. Per la verifica del superamento della franchigia di € 258,23 devono essere considerate tutte le (analoghe) erogazioni corrisposte allo stesso dipendente durante l’anno. Dunque, affinché il destinatario della cessione gratuita non si veda tassare l’omaggio in busta paga, occorre rimanere al di sotto della soglia limite di € 258,23. Ad esempio, un cesto natalizio del valore globale di € 250 non concorre a formare reddito in capo al dipendente.
TRATTAMENTO IVA
La disciplina IVA delle spese di rappresentanza è contenuta nell’art. 19-bis1, c. 1, lett. h), DPR 633/1972, in base al quale l’imposta corrisposta per l’acquisto dei beni da destinare ad omaggio, risulta totalmente indetraibile, salvo che per gli omaggi di costo non superiore a € 25,82.
Riassumendo:
OMAGGI DI COSTO SUPERIORE A € 25,82 IVA indetraibile OMAGGI DI COSTO NON SUPERIORE A € 25,82 IVA detraibile L’art. 19-bis1, c. 1, lett. f), DPR 633/1972, prevede che l’imposta pagata per l’acquisto di alimenti e bevande risulti completamente indetraibile. Tuttavia, la CM 54/E/2001, ha precisato che tale limitazione non trova applicazione per l’acquisto di alimenti e bevande, di valore unitario non superiore a € 25,82, destinati a essere ceduti a titolo gratuito, per i quali va applicata la disposizione di cui alla lettera h) dello stesso art. 19-bis1 in materia di spese di rappresentanza. Se l’omaggio è costituito da più beni contenuti in un’unica confezione di costo complessivo superiore a € 25,82, è opportuno tenere conto del costo dell’intera confezione, considerando indetraibile l’IVA, anche se il costo dei singoli beni costituenti la confezione è singolarmente inferiore a tale limite.
ES.2. Un avvocato omaggia un proprio cliente di un cesto natalizio composto da: una bottiglia di spumante del valore di € 15, un panettone del valore di € 9, una confezione di torrone del valore di € 13. Nonostante i singoli beni abbiano un valore non superiore a € 25,82, l’intera confezione ha un valore complessivo di € 37 e, pertanto, la relativa IVA risulta indetraibile. L’IVA corrisposta per l’acquisto delle prestazioni di servizi risulta, invece, totalmente indetraibile a prescindere dal relativo costo (l’art. 19-bis1, c. 1, lett. h), DPR 633/1972, infatti, non contempla alcun riferimento alle prestazioni di servizi).
ES.3. Un avvocato omaggia un proprio cliente di un trattamento di bellezza presso una beauty farm del costo di € 25 più IVA € 5. Il costo della prestazione è deducibile nel limite dell’1% dei compensi percepiti, la relativa IVA è, invece, totalmente indetraibile.
OMAGGI DI PRESTAZIONI DI SERVIZI IVA indetraibile
LA (SUCCESSIVA) CESSIONE GRATUITA L’art. 2, c. 2, n. 4), DPR 633/1972, considera non rilevanti ai fini IVA le cessioni gratuite di beni: 1) per i quali non sia stata detratta l’imposta all’atto dell’acquisto, ovvero, 2) non oggetto dell’attività (dell’impresa) se di costo unitario non superiore a € 25,82. Dunque, le regole per la cessione gratuita dei beni omaggio possono essere così sintetizzate:  se il costo unitario del bene supera € 25,82, l’imposta relativa agli acquisti non è detraibile e la successiva cessione gratuita costituisce un’operazione non soggetta a IVA ex art. 2, c. 2, n. 4), DPR 633/1972;  se il costo unitario del bene non supera (ossia, è pari o inferiore a € 25,82) l’imposta relativa agli acquisti, è detraibile e la successiva cessione gratuita costituisce un’operazione non soggetta a IVA ex art. 2, c. 2, n. 4), DPR 633/1972. Si evidenzia, tuttavia, che parte della dottrina considera sempre soggette a IVA le cessioni gratuite dei professionisti qualora, all’atto dell’acquisto, venga operata la detrazione IVA. Tale orientamento trova riferimento nell’interpretazione letterale dell’art. 2, c. 2, n. 4), DPR 633/1972, ove viene enunciata l’esclusione da imposta per le cessioni gratuite di beni non oggetto “dell’attività propria dell’impresa”. L’esplicito riferimento all’attività di impresa parrebbe quindi escludere i professionisti dalla disposizione. Aderendo a tale interpretazione (a parere di chi scrive eccessivamente prudenziale) è comunque possibile escludere da imposta la successiva cessione gratuita, rinunciando alla detrazione IVA all’atto dell’acquisto del bene. Differentemente, l’imposta può essere assolta dal professionista con emissione di autofattura, fattura (con o senza rivalsa dell’IVA) o con la tenuta del c.d. registro degli omaggi. OMAGGI AI DIPENDENTI (ASPETTI IVA) Gli acquisti di beni da destinare ad omaggio dei dipendenti non possiedono la connessione strumentale con l’attività del professionista per poter esser inquadrati tra le spese di rappresentanza. L’IVA relativa a tali beni risulta pertanto completamente indetraibile per mancanza di inerenza con l’esercizio dell’arte o professione, a prescindere dal costo sostenuto.
OMAGGI AI DIPENDENTI IVA indetraibile La successiva cessione gratuita è quindi esclusa da IVA e non richiede l’emissione di alcun documento fiscale. TRATTAMENTO IRAP Le spese di rappresentanza risultano deducibili con le stesse limitazioni previste ai fini IRPEF (deducibilità limitata all’1% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta). OMAGGI AI DIPENDENTI (ASPETTI IRAP) Ai fini IRAP le spese de quo rientrano tra i “costi per il personale” e, pertanto, risultano completamente indeducibili.
OMAGGI AI DIPENDENTI interamente indeducibili (se qualificate quali prestazioni di lavoro dipendente) Qualora si intenda collocare tali costi nella species delle spese di rappresentanza, la deducibilità è invece limitata all’1% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta. BREVI CONCLUSIONI In conclusione si raccomanda di predisporre e conservare idonea documentazione tesa a certificare l’ammontare della spesa sostenuta e, soprattutto, a dimostrare l’inerenza della spesa all’attività esercitata (approntando, ad esempio, un dettagliato elenco dei destinatari degli omaggi).

venerdì 3 dicembre 2010



Per contrastare le c.d. “case fantasma”, il D. L. n. 78/2010 riscrive completamente la disciplina sulla casa e impone di regolarizzare la posizione catastale degli immobili. In particolare, entro il 31 dicembre 2010 i titolari di diritti reali su immobili sono tenuti a presentare la dichiarazione di aggiornamento catastale, se gli immobili non risultano dichiarati in Catasto o se a seguito di interventi edilizi sull’immobile, i titolari non hanno dichiarato in Catasto la conseguente variazione di consistenza o destinazione.
La regolarizzazione catastale è all’attenzione dei proprietari immobiliari, che affidano l’incarico ad un tecnico professionista iscritto all’albo degli ingegneri, architetti, dottori agronomi, geometri, periti edili o agrari, il quale provvederà a aggiornare la mappa catastale e predisporre la denuncia al Catasto dei fabbricati. Dopo la denuncia, l’Ufficio provinciale dell’Agenzia del Territorio competente richiederà il pagamento della sanzione per ritardata denuncia (€ 300, ridotti a € 75 se versati entro 60 giorni dal ricevimento dell’avviso di pagamento).
Scaduto il termine del 31 dicembre 2010 senza che vi sia stata la denuncia al Catasto, l’Agenzia del Territorio interverrà per surroga provvedendo ad attribuire essa stessa una rendita catastale presunta ed a svolgere le opportune attività di accertamento.
Con l’.

REGOLARIZZAZIONE DELLE “CASE FANTASMA”

LE NOVITA’ DELLA MANOVRA CORRETTIVA 2010 (art. 19, commi 8 e 9, D.L. n. 78/2010)
Entro il 31.12.2010, i titolari di diritti reali su:
• immobili che non risultano dichiarati in Catasto e presenti negli appositi elenchi pubblicati in G.U. dall’Agenzia del Territorio dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2009 ;
• immobili già censiti, ma oggetto di interventi edilizi che abbiano determinato un incremento di consistenza ovvero una variazione di destinazione d’uso non dichiarati in Catasto;
sono tenuti a presentare, ai fini fiscali, la relativa dichiarazione di aggiornamento catastale.

I FABBRICATI EX-RURALI E NON DICHIARATI IN CATASTO
Il D.L. n. 262/2006 aveva previsto un’operazione straordinaria di controllo da parte dell’Agenzia del Territorio in collaborazione con l’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) volta ad individuare:
• i fabbricati iscritti al Catasto terreni ma che avevano perso i requisiti per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali;
• i fabbricati che non risultavano dichiarati al Catasto edilizio urbano.
A seguito di questa operazione, sono emersi oltre 2 milioni di costruzioni non dichiarate al Catasto.

L’ITER PER LA REGOLARIZZAZIONE CATASTALE • I soggetti interessati a regolarizzare la propria posizione al Catasto dovranno incaricare un tecnico professionista il quale provvederà a:
 aggiornare la mappa catastale, utilizzando il programma Pregeo fornito dall’Agenzia del Territorio;
 predisporre la denuncia al Catasto dei fabbricati, utilizzando il programma Docfa, nel quale dovrà inserire i dati alfanumerici e geometrici delle planimetrie che rappresentano l’unità principale e le sue pertinenze;
• dopo la denuncia, l’Ufficio provinciale dell’Agenzia del Territorio competente richiederà il pagamento della sanzione per ritardata denuncia, che sarà pari a € 300, ridotti a € 75 se versati entro 60 giorni dal ricevimento dell’avviso di pagamento;
• scaduto il termine del 31.12.2010, l’Agenzia del Territorio provvederà ad attribuire una rendita presunta e a svolgere le opportune attività di accertamento.

EFFETTI FISCALI DELLA REGOLARIZZAZIONE CATASTALE Il titolare del diritto reale sull’immobile dovrà regolarizzare la proprio posizione fiscale (Irpef e Ici se dovuta) del periodo pregresso, non oltre però i 5 anni:
• dalla data di costruzione dell’edificio, nel caso di immobile non dichiarato al Catasto;
• dalla data di esecuzione dei lavori di ristrutturazione, nel caso di immobile in cui sono state effettuate variazioni di consistenza o destinazione.